Dodicesimo sigillo in carriera per gli inossidabili Metal Church. La band capitanata da Kurdt Vanderhoof è una delle istituzioni dell’heavy made in USA e con questo “Damned If You Do” è appunto giunta al dodicesimo album di una carriera che ha alternato momenti positivi e momenti negativi. Questa nuova prova in studio è anche la seconda da quando è tornato dietro al microfono l’amato frontman Mike Howe. Sarà proprio la prestazione di Howe a tenere a galla in più occasioni questo nuovo disco della band americana, ma andiamo con ordine.
L’album si apre proprio con la titletrack, pezzo heavy e diretto con delle buone idee, ma che vengono affossate da una produzione piatta e spompata che toglie mordente a un buon brano che, appunto, viene salvato dalla prestazione dietro al microfono di Howe. Discorso analogo lo si può fare anche per la successiva “The Black Things“, brano piacevole e con del potenziale che viene demolito proprio dalle scelte fatte in sede di mixaggio. Uno dei pochi brani che riesce a brillare nonostante tutto è la melodica e rockeggiante “Revolution Underway“, pezzo che inizia con degli arpeggi che si evolvono poi nei riff che sorreggeranno il pezzo. Le successive “Guillotine” e “Rot Away” sono brani totalmente anonimi che non lasciano alcun ricordo a fine ascolto. Piacevole da ascoltare è invece “Monkey Finger“, mid-tempo dal sapore hard rock e sorretto da un riff abbastanza classico, ma che riesce a fare muovere la testa. L’album si chiude con le buone e tirate “Out of Balance” e “War Electric” che non aggiungono molto al disco.
“Damned If You Do” potrebbe essere considerato un buon disco heavy metal con i suoi alti e bassi, ma a causa di una produzione totalmente inadeguata i pezzi perdono quasi totalmente l’impatto che dovrebbero avere. La situazione migliora nel finale, probabilmente perché ci si fa l’orecchio, ma questo non cambia di molto le carte in tavola. Le idee in questo album ci sono e sono anche buone, così come la prestazione dei musicisti, Howe in primis, ma risulta veramente difficile dare qualcosa in più di una sufficienza, un vero peccato perché il potenziale c’era tutto.