I barcellonesi Black Lotus compiono il loro ingresso nel mondo del metal rilasciando il loro album di debutto “Sons of Saturn“, attraverso l’etichetta Inverse Records, il 19 ottobre. La band, capitanata e fondata da Hug Ballesta nel 2015, aveva già rilasciato l’omonimo singolo in agosto ottenendo pareri positivi. “Sons of Saturn” è stato registrato presso il Moontower Studio a partire dall’anno scorso e mixato all’Audiosiege di Portland, Oregon.
La prima traccia, “Kings“, getta le basi dell’album creando un’atmosfera doom, caratterizzata da ritmi lenti ma solidi, un cantato in vibrato pulito e melodico in stile Mastodon e una sincronia tra chitarre e basso degna del doom tradizionale, con entrambi gli strumenti mixati alti. In compresenza dello stile doom sono presenti dei motivi stoner, espressi grazie ad un wah-wah intrippante, come nell’intro di “The Sandstorm” (una traccia maestosa di dieci minuti), anche se, in linea di massima, tutti i brani presentano una dualità tra chitarra distorta e pulita, introspettiva. Già dopo un primo ascolto sono lampanti, ma non esagerate, le influenze che hanno agito sul gruppo.
Hug Ballesta afferma: “Siamo fan dei gruppi classici come allo stesso tempo dei nuovi suoni e differenti stili del metal: crudezza, ritmi heavy/doom metal lenti e allo stesso tempo melodie contagiose che possono trasportare l’ascoltatore a stati d’animo apparentemente opposti. Ci fa un immenso piacere che Inverse Records ci aiuti a diffondere la nostra musica… siamo ansiosi di vedere il riscontro!”
Infatti, oltre alla forza motrice dell’heavy metal tradizionale, la loro palette musicale è composta in gran parte dai suoni “alternativi” degli anni ’90 quali lo stoner rock (che stimola un headbanging lento ma convinto), il doom metal e vari sottogeneri del post-metal. Il prodotto finale è una musica che abbraccia il loro background eclettico senza restrizioni; allo stesso modo i loro testi vanno letti cogliendo le profonde ed eminenti simbologie, le quali rappresentano la società in una chiave distopica e distorta. Tuttavia, non sono solo le esperienze musicali previe a determinare il loro stile, bensì si notano riferimenti, mossi dal loro interesse e passione, alla mitologia classica, l’occultismo e a vicende prettamente personali, tant’è vero che potrebbero essere etichettati “occult rock” o, più accuratamente, epic doom metal. Un esempio perfetto dello stile e delle tematiche trattate è il ritornello della title track:
“Sons of Saturn, embrace the land
In its temples cascades of wine will flow again
The scorpion and the snake
Sol Invictus will rise until the end”
Sembra più che accurato il paragone con i padri fondatori del doom, i Black Sabbath, non solo per l’approccio ritmico e per l’adozione del tipico calco dei riff di Tony Iommi, ma anche per lo stile canoro del cantante-batterista Ballesta, evidente in tutto il lavoro ma soprattutto nella traccia “Protective Fire“, la quale, introdotta da “The Pyre–Intro” (un opening stoner a dir poco), pare essere la più orecchiabile dell’album a causa della presenza di un riff iniziale semplice ma coinvolgente, che culmina in un ritornello la cui melodia è senza ombra di dubbio contagiosa.
Il lavoro si conclude con “The Swamp“, un’outro con sonorità heavy doom non esente da un improvviso cambio di ritmo finale che mette fine all’album in un crescendo, lasciando presupporre che questo non sia che il punto iniziale della traiettoria di una band potenzialmente interessante. Hug, inoltre, definisce “Sons of Saturn” come la perfetta rappresentazione del sound ricercato dal gruppo, almeno fino a questo momento. Non è un album estremamente tecnico, ma efficace, crudo e “sludgy” che scaturisce dalla coesistenza di stati d’animo apparentemente diametralmente opposti.