La one man band statunitense Elegiac ritorna dopo un anno dal precedente “Black Clouds of War” con l’ultima fatica in studio, “Pagan Storm“. Attivo dal 2014, il mastermind dietro il progetto, Zane Young, si fa portavoce di un black metal crudo e diretto, reminescente del passato ma senza esagerare.
Con “Pagan Storm”, però, le carte in tavola vengono quasi completamente mescolate in favore di un sound più fluido che ricorda lo stile di un certo tipo di band come i nostrani Forgotten Tomb, pregi e difetti compresi. Ritmi più calmi e sonorità malinconiche e tristi sostituiscono, se non per qualche breve episodio, il black metal aspro presente in “Black Clouds of War” o comunque nella precedente discografia.
L’album è composto da otto brani tutti sopra i cinque minuti di durata, che rappresentano molto bene il cambiamento intrapreso dall’artista. Procedendo canzone per canzone, l’unica da isolare dal resto è “Allegiance and Honor“, una sferzata di puro gelo norvegese in perfetta linea con ciò che fino ad ora Elegiac proponeva, con un finale che ribalta la situazione donando un po’ di varietà alla composizione. Ironicamente, è anche la canzone più breve dell’album. A metà strada si pone “Rituals of War“, la canzone che apre le danze: si impone sin da subito lenta e maestosa, mescolandosi poi al black metal più classico. Un riff accompagna l’ascoltatore per la maggior parte dell’ascolto, riuscendo ad entrare in testa e a rimanerci ben chiaro.
Un’altra scelta musicale risalta in questa trasformazione: gli innumerevoli cambi di tempo che, precedentemente, erano piuttosto rari ma impreziosivano l’ascolto. In quest’album diventano la norma, ma senza stancare o pesare: non a caso le restanti sei canzoni si amalgamano forse anche troppo fra loro, finendo con il rischiare di sembrare tutte uguali. Per fortuna qualche piccolo dettaglio riesce a salvare la situazione. Andando con ordine, il primo mattone, per la sua durata di ben dieci minuti, è “Somber Morning” (“mattinata fosca“): il titolo rispecchia perfettamente i sentimenti che la canzone vuole trasmettere, avviluppando chi ascolta in un’atmosfera triste, malinconica e pesante. Il finale black metal risolleva la composizione, portandoci, come si accennava, ai pregi e difetti.
Questo stile in mid tempo ha un grave problema: tende a diventare subito noioso e gravoso, specialmente quando lo stesso riff viene ripetuto più e più volte. Questo è il problema di “Pagan Storm”: anche le canzoni successive, complice la loro durata, finiscono con il diventare tediose e addirittura monotone. Ad esempio, “Through Ancient Eyes” mantiene perfettamente il feeling della canzone descritta poco fa, ma finisce con l’amalgamarsi perfettamente al resto, non risaltando in nessun suo dettaglio. “Purity of Winter” ha almeno più ritmo, rimanendo di una struggente malinconia. S’impreziosisce di una bellissima parte dai cori evocativi e da un breve assolo. “Golden Fires of Victory” ha del black metal classico che aumenta il ritmo generale, tornando in seguito all’atmosfera cupa che lo precedeva. Stavolta però i due sound sono mischiati bene insieme. Quest’ultima affermazione vale anche per la title track, che è molto più veloce e ha anch’essa un piccolissima parte di cori, ma anche lei non riesce davvero a spiccare il volo. Infine, rimane solo “Ancient Spirit“, la quale non cambia nulla dell’atmosfera generale, se non per melodie ipnotiche e molto melodiche.
Le intenzioni di rimanere fedeli a se stessi ma di fare anche qualcosa di nuovo ci sono tutte e sono onestamente promettenti: i precedenti lavori di Elegiac non nascondono un certo talento in ambito black metal. Purtroppo, però, come tutti i cambiamenti, non si riesce ad essere perfetti sin da subito: si vede chiaramente in questo “Pagan Storm”. Non resta che augurare a Zane Young che dal prossimo lavoro le idee siano più chiare, dato che le armi ci sono e sono anche ben lucidate.