Quando si parla degli Immolation, si parla senza dubbio di una delle band death metal più influenti e con maggior seguito nel panorama mondiale con all’attivo ben dieci album, tra i quali spiccano pietre miliari quali “Dawn of Possession” e “Close to a World Below”. Si sono formati nel 1986 a Yonkers, come Rigor Mortis, e dopo aver registrato tre demo hanno cambiato il loro nome in Immolation, nel 1988.
La loro decima fatica, “Atonement“, si presenta a quattro anni di distanza dall’ultimo “Kingdom of Conspiracy” ed è accolta con molta curiosità in quanto nessuno dei dischi precedenti loro ha deluso.
La formazione è capitanata da Ross Dolan, cantante e bassista, che è l’unico membro originario rimasto insieme al chitarrista Robert Vigna. Ai due si uniscono Steve Shalaty alla batteria e Alex Bouks, secondo chitarrista, al debutto negli Immolation.
Il disco si apre con “The Distorting Light“, che fin subito fa intendere quale sarà l’andamento dell’album: si parte senza esitazioni con ondate di riff precisi e distorti, batteria martellante e parti cantate aggressive che formano un’atmosfera cupa ed accattivante ideale per l’ascolto e tipica del quartetto di Yonkers.
Le canzoni continuano a scorrere senza mai risultare banali o prevedibili per tutta la durata del disco, e gli americani dimostrano anche le loro abilità nell’affrontare ritmi diversi: basta ascoltare “Fostering The Divide” o “When The Jackals Come” per notare come abbiano andature più lente di gran parte dell’album, ma allo stesso rimangano brutali e travolgenti come gli altri brani. Ciò esalta ancor di più la tecnica della band, che già si è fatta notare col passare degli anni. Capacità che si rivelano anche al di fuori dei ritmi utilizzati nelle canzoni, e compaiono in tutto il disco: ogni strumento ha un suono ottimale (complice anche un’eccellente qualità di registrazione) e nessuno dei brani delude in quanto risultano tutti ben curati e collegati tra di loro.
L’ascolto fila liscio, senza alcun calo di interesse che potrebbe essere causato da tracce finali meno interessanti o “di troppo”, anzi, cattura l’attenzione dell’ascoltatore dalla prima all’ultima nota, e il tempo di percorrenza di 44 minuti passa in un batter d’occhio, com’è normale che sia quando qualcosa piace particolarmente.
Disco ben fatto quindi, quello degli Immolation, che si confermano tra i pionieri del death metal americano, genere nel quale non è facile eccellere in quanto si basa molto sulla scena underground; ma grazie alla costanza e al duro lavoro dei quattro si capisce quale sia il segreto del loro successo.