I Trauer, il cui nome significa lutto, sono un gruppo tedesco formatosi nel 2006 e arrivano con “A Walk into the Twilight” al loro secondo album dopo 4 demo e 2 split.
I temi lirici dell’album riguardano principalmente “il male nel mondo”, comparando la politica e i problemi moderni con quelli del passato si dimostra che nulla è cambiato, che il genere umano è il male e che non si è affatto evoluto.
Quindi, nel titolo si fa riferimento al tramonto della civiltà verso cui l’umanità si sta dirigendo a causa della sue tendenze autodistruttive. A queste però vanno ad aggiungersi il senso di esasperazione e noia totale che pervade il disco in questione.
Le colpe di ciò vanno ricercate e suddivise in egual misura nella ripetitività e lungezza dei brani (tutti tra i 7 e i 9 minuti…) e nel mixaggio che purtroppo rovina anche quei pochi tentativi di riportare le tracce a livelli decenti. La buona volontà dei Trauer di sicuro non manca, ma è poco credibile che la band dichiari come ha cercato di non ripetersi e di suonare più velocemente rispetto al passato quando le parole non sono supportate dai fatti.
Una nota positiva va sicuramente ricercata nelle atmosfere create dalle tastiere e piano sparsi qua e là (come in “The Invocation of the Parasites“ e “A Servant to the Desert“), ma che in altri contesti vanno a cozzare e stridere con la struttura della canzone stessa, come nella titletrack.
I problemi di mixaggio non smettono mai di essere protagonisti: la voce sembra registrata con la testa in un vaso da qualcuno alle prese con le coliche gastriche, la batteria in uno scantinato (seppur suonata con capacità e precisione), le chitarre ronzano in secondo piano pur essendo la colonna portante delle tracce (e dando loro il giusto senso), il basso è forse anche troppo nitido e “meccanico”, con un riverbero che finisce per coprire il resto e fuorviando l’ascoltatore.
A tentare di salvare il tutto ci pensano come già accennato i tappeti atmosferici e qualche accelerazione inseriti un po’ in tutto il disco (“Her String Dance“, “Under Gray Vaults“), ma questo non basta a recuperare un lavoro che sarebbe potuto andare bene come demo nel 1990.
L’unica traccia che mi sento di “consigliare” è la penultima “When Our Heartbeat Counting Down“, ma solo come sunto dell’intero album, per il bell’intermezzo orchestrale e sempre tenendo a mente quanto scritto sino ad ora.
In definitiva, credo che il messaggio dei Trauer sarebbe più apprezzabile se fossero loro concessi mezzi di registrazione più efficaci, e magari accorciando le canzoni quando si rivelano ridondanti. Altrimenti consiglio loro di cambiare nome in Langeweile (“Noia”).