Questa è la storia di un progetto molto interessante ma che mi ha lasciato per alcuni versi con l’amaro in bocca. Sto parlando di “Symphony Of Element”, secondo album del progetto atmospheric black metal tedesco 3xperimental. L’album è una produzione indipendente che vedrà la luce il 20 giugno. Dietro il moniker si nasconde il mastermind JB Vincent.
Cominciamo da cosa ha attirato per prima la mia attenzione una volta venuta a conoscenza dell’esistenza di questo progetto: andando su Metal Archives, si può notare come la foto del mastermind lo ritragga nell’atto di suonare una tastiera. Questo ha immediatamente fatto rizzare le mie orecchie, chiedendomi se quello strumento ricoprisse un ruolo “standard” o se ci fosse dell’altro. In effetti, a partire dalle stesse dichiarazioni di Vincent, il nome del progetto vuole riflettere la proposta musicale: nonostante la sua visione sia principalmente atmospheric black, cerca di incorporare qualsiasi altro genere al composto pur di mettere in musica ciò che vede. Tutto questo ha ulteriormente innalzato la mia curiosità e così sinceramente pronta ad essere sorpresa, ho ascoltato questo “Symphony Of Element”.
Dopo il primo ascolto, mi sono immediatamente resa conto fosse necessaria una premessa. L’album è molto buono ed entreremo nel dettaglio più tardi, ma c’è una leggera noncuranza che mi ha delusa. Leggendo le seguenti righe potete pure darmi della pignola, avreste ragione. Cerco quindi di spiegarmi: è chiaro, nell’ascolto, che le tastiere non ricoprono solo il loro usuale ruolo spara-tappeti, bensì sono presenti quasi a tutto tondo. Ma non solo: mi sembra chiaro sia stata utilizzata una drum-machine o comunque un software di produzione musicale, il che se possibile mi ha incuriosita ancora di più, perché il risultato non è male se non leggermente freddo e impostato. Ma sfortunatamente non è spiegato di preciso chi e cosa abbia fatto parte della produzione di “Symphony Of Element”: i crediti sono risicati al massimo, attribuendo tutti gli “strumenti” e le parti vocali a JB Vincent, con solo degli ulteriori “ospiti” per i cori in tre dei brani, senza specificare. E quindi il grande quesito che ne avanza è il seguente: cosa si intende per “strumenti”? È tutta tastiera? Oppure la chitarra è effettivamente tale e non un effetto? Sembra una cazzata, ma nell’ascolto non è proprio chiarissimo e rimane il seme del dubbio.
Premesso tutto questo, “Symphony Of Element” è un’ode alle forze della natura, com’è chiaro anche dai titoli dei brani, contro l’arroganza dell’uomo. Ogni canzone/elemento rappresenta la fine di un mondo, e forse l’inizio di qualcosa di nuovo; un messaggio che quindi mescola sfiducia e speranza. Analizziamo quindi i sette brani che lo compongono.
“Essentia Existentiae” è la maestosa introduzione: un magnifico coro fa da sfondo all’oscura voce in growl che ci accompagnerà quindi al primo vero brano dell’album.
“Earth”: nell’introduzione si toccano sicuramente le sponde del symphonic, anche grazie ad un delicatissimo pianoforte. Ed è qui che ci scontriamo dunque sul perché ho scritto quella lunga premessa: abbandonati i tappeti, le atmosfere e quant’altro ci troviamo di fronte alla composizione vera e propria. La chitarra sembra essere decisamente impostata, “finta” (passatemi il termine), e da qui nasce il mio dubbio sulla sua origine; certo, potrebbe anche essere colpa di una produzione non cristallina, considerando che nel procedere del brano sembra diventare autentica… Mistero! Tornando a noi, è unita ad un pianoforte dissonante e leggermente fuori tempo, come effetto sicuramente voluto. Nell’interludio a circa metà brano, si può notare come il basso sia un effetto, risultando appena sgradevole ma amalgamato al resto non si nota granché. C’è anche dello spazio per un arzigogolato assolo di tastiera, splendida la parte che anticipa il finale, armoniosa e malinconica, di grande effetto. Tutto sommato è davvero un buon brano, un bell’assaggio di cosa incontreremo dopo.
Segue “Water”, introdotta da un bella pioggerellina leggera. È puramente sinfonica per i primi due minuti, inframmezzata solamente dal crudo cantato in growl. L’ipnotica sezione centrale sembra quasi rappresentare un incubo ad occhi aperti, uno spaventoso canto di sirene, ritornando poi su lidi più delicati e leggiadri. Bellissima anche la parte finale, introdotta da un solitario pianoforte a cui si aggiunge qualche arco.
Non dissimile dalle altre nell’introduzione, “Fire” sembra essere la più angosciosa: si rivela infatti anche la più furiosa finora, ricca di cambiamenti di atmosfere e di velocità. C’è spazio per un piccolo assolo di chitarra, mentre man mano che l’ascolto procede si può eleggere questo brano come il più interessante dell’album. Ascoltare per credere!
“At The End Of The World” sembra quasi la colonna sonora di un film, malinconia e dolciastra, a cui si aggiunge un’inaspettata voce femminile, che volteggia fra le ottave più basse e più alte. L’atmosfera cambia completamente aspetto con l’arrivo della chitarra e della pesante batteria, ma il finale richiama la prima parte del brano. Molto carina.
A concludere l’album c’è “Visions”, dal riff ripetitivo a cui si aggiungono una dose massiccia di archi e che punta tutto sulla parte vocale. Una fine decisamente sotto tono rispetto al resto.
A chiusura di questa recensione mi affido ad alcune riflessioni, specialmente in presenza della lunga premessa che spero sia stata capita in toto. Per me, e penso dovrebbe esserlo per tutti, fare metal con le tastiere non è un problema. Io nasco da una famiglia in cui le immortali tastiere degli anni ’80 suonavano in casa e in macchina; le amo infinitamente e non sono in grado di rinnegare l’amore viscerale che provo per tutta la musica pubblicata in quella decade, che si chiami synthpop, new wave o heavy metal. La musica tutta si sta evolvendo, in bene o in male è soggettivo; anche il nostro genere musicale preferito si deve evolvere per sopravvivere e lo farà. Lo sta già facendo. 3xperimental si chiama così per un motivo, ed è chiaro in entrambi i lavori pubblicati finora. Sì, è vero: a tratti suona freddo, meccanico, “strano”. Non siamo abituati alle fiamme infuocate del metal intrappolate in un campionatore. Ma il risultato finale non è male, anzi. C’è un sacco di originalità in evoluzione, che infatti non si avvicina minimamente al capolavoro, ma ci prova con coraggio. Probabilmente con ancora un po’ più di sperimentazione 3xperimental potrebbe arrivare fin dove nessuno ancora è arrivato.