Tornati sulla scena con il loro terzo album “Likaya”, i Soen di Martin Lopez e Joel Ekelöf fanno tappa nella capitale slovena insieme ai norvegesi Madder Mortem per un concerto intenso e di gran classe, condito dall’estrema disponibilità dei musicisti prima e dopo il concerto. Buona lettura!
MADDER MORTEM
Arrivati al locale giusto prima dell’apertura, tempo di una birra ed ecco che il quintetto norvegese sale sul palco in perfetto orario: guidati dalla frontwoman Agnete Kirkevaag fin dalla fondazione nel lontano 1993 e giunti al loro sesto album uscito lo scorso anno, il loro è un heavy/doom con venature progressive di sicuro impatto ma che, complice la lunga durata del set, rischia di diventare un po’ tedioso in sede live. Nonostante ciò, e nonostante qualche problema tecnico per il chitarrista BP Kirkevaag (fratello della cantante), il concerto risulta comunque godibile: la band pesca a piene mani dalla propria discografia alternando brani in chiave minore ad altri per così dire, più allegri. La voce di Agnete si muove bene su diversi registri pur con qualche incertezza qua e là, dovuta probabilmente ai tredici anni di assenza dai palchi, e gli altri membri sono artefici di una prestazione di buon livello senza particolari sbavature. Come già detto, il materiale proposto pecca forse di un’eccessiva omogeneità che pesa più che altro sugli ascoltatori non particolarmente avvezzi al genere, tuttavia ciò non influisce sulla qualità di quello che è stato un buon concerto di apertura.
SOEN
Dell’ultima fatica dei Soen abbiamo già discusso in sede di recensione ed intervista con la mente principale del gruppo, ovvero l’ex batterista di Opeth e Amon Amarth Martin Lopez. Questa volta l’attesa da parte del pubblico è decisamente palpabile, traducendosi in una calorosa accoglienza nel momento in cui i cinque salgono sul palco iniziando con “Canvas“, estratta dal primo album “Cognitive“. La classe dei musicisti è cristallina, messa in risalto da un mixing ottimale che permette ad ogni strumento e alla voce di Joel di spiccare senza sovrastare il resto. La scaletta prende quasi equamente dai tre dischi, andando avanti e indietro dalle atmosfere più personali dell’ultimo a quelle più Tool-iane del debutto, il che conferisce all’esibizione una varietà in grado di mantenere alta la soglia dell’attenzione. Il chitarrista Marcus Jidell si divide con Joel il ruolo di intrattenitore, prendendo posto di tanto in tanto sotto i riflettori per qualche assolo dal gusto eccelso o per coinvolgere il pubblico con dei cori azzeccati. Il secondo chitarrista, Lars Åhlund, si mantiene più come sottofondo, ma solo fisicamente dato che ha occasione di mettersi in mostra alle tastiere e alle percussioni (queste ultime in collaborazione con Lopez). Martin, dal canto suo, dà soltanto l’ennesima prova di un talento sconfinato deliziando le nostre orecchie sia nelle parti più lente caratterizzate da un feeling sia sulle parti più tirate reminescenti degli Opeth dei bei tempi andati. Non c’è nessun pezzo in scaletta che sia risultato sottotono e, in generale, sia i pezzi più “datati” (da citare “Savia“) che quelli più recenti (“Sister” e la finale “Lucidity“, carica di emotività) fanno ottima presa su un pubblico completamente rapito dagli svedesi. Degnamente rappresentato anche “Tellurian“, con le ottime “Tabula Rasa“, “Pluton” e la riflessiva “The Words“. Il concerto si chiude dopo un’ora e mezza tra le ovazioni del pubblico, con la band che si avvia in mezzo alla folla per ritirarsi. Nota di merito per Martin Lopez che, a dispetto del suo status quasi di culto per gli appassionati, si dimostra estremamente alla mano trattenendosi nel bar del locale dopo il concerto, a bere birra con gli amici e autografare i dischi dei fan, accolti come se fossero conoscenti di lunga data. Un esempio per tantissimi colleghi meno quotati.