La storia dei THE OFFSPRING inizia quasi per caso, come per la maggior parte delle band. Era il 1984 quando Dexter Holland (chitarra e voce) e Greg Kriesel (basso) , dopo non essere riusciti ad entrare ad un concerto dei Social Distortion, finito in seguito con una rivolta, decisero di formare una propria band punk. Già da subito anche Noodles (chitarra) entrò nella band e, fatta eccezione per alcuni avvicendamenti alla batteria, la formazione della band è rimasta stabile per più di trent’anni. Lo stile punk del primo EP, dopo il primo album, ha lentamente (ma non troppo) virato verso lidi più POPpeggianti, raggiungendo il grosso del successo con “Smash” nel 1994. Il cammino della band continuò con una scalata verso il successo in ambito pop/punk con i successivi due album “Ixnay On The Hombre” del 1997 e “Americana” del 1998, per poi iniziare l’inevitabile discesa, complice forse l’incapacità di accaparrarsi pubblico nuovo e giovane dopo l’invecchiamento dei fanboy degli anni ’90, ma anche l’impossibilità di superare in qualità e idee i tre album precedenti. Prova di questo è anche la scaletta con cui si sono presentati al pubblico di Lignano Sabbiadoro: tutti i brani, tranne qualche eccezione, sono stati tratti dai tre album di maggior successo.
Dopo questa (forse) troppo lunga introduzione qualcuno si chiederà “Ok, ma questo è un sito che parla perlopiù di Metal, che centrano gli Offspring con voi?”. C’entrano eccome. Anch’io sono stato (e forse lo sono ancora) uno di quei fanboy degli anni ’90 che li ascoltavano e compravano le loro cassette per ascoltarle nella macchina degli amici patentati più grandi. Le serate estive passate a girovagare per la città con i finestrini aperti cantando a squarciagola in inglese maccheronico “Come Out And Play” o “Self Esteem” sono indelebili nella mia mente, ma di certo anche in quella di molti altri. Ed è quasi sicuramente grazie a loro che io, come molti altri miei coetanei, non siamo finiti nelle grinfie malvagie della musica commerciale italiana dell’epoca o ancora peggio della musica da discoteca. Quindi non posso fare altro che ringraziare gli Offspring per aver aperto la mente a quasi un’intera generazione di giovani, portandoli da adulti verso la musica vera e sana, quella suonata con degli strumenti su un palco, indifferentemente se più o meno estrema, ma comunque vera.
Ma arriviamo finalmente al concerto! A sottolineare ancora una volta il discorso di sopra, una buona parte del pubblico ha tra i 35 e i 45 anni. Ad aprire le danze ci sono i Rumatera, band punk veneta attiva dal 2007, che canta in dialetto veneto. La festa è assicurata. Nel loro set presentano brani come “Ghe Sboro” e “Scaltenigo” dal nuovo disco “#RICCHISSIMI”, ma anche i classici degli album precedenti. La maggior parte del pubblico presente canta a squarciagola tutti i brani, il che dimostra che la band ha una fan base molto forte. I Rumatera riescono a riscaldare a puntino il pubblico, come se ce ne fosse bisogno vista la temperatura intorno ai 40 gradi, per la band successiva.
Seguono a ruota i Millencolin. La band punk svedese sale sul palco verso le 21:30. Il sole finalmente è calato, ma l’afa permane. Il fondale è quello del loro ultimo album del 2015, “True Brew”, da cui pescano abbastanza brani da proporre al pubblico. Senza ombra di dubbio, però, i grandi successi della band tratti da “Pennybridge Pioneers” e dai primi lavori hanno una maggiore presa sul pubblico. Sarà stato probabilmente il caldo, ma il concerto dei quattro ragazzi di Orebro è andato avanti un po’ a rilento, riprendendosi però verso la fine nell’encore con i tre brani finali.
E finalmente arriva il momento dei The Offspring. È la prima volta che ho occasione di vedere la band dal vivo e le aspettative sono molto alte. Alle 23 la band è pronta e resto un po’ sconvolto nel vedere un Dexter Holland attempato e sovrappeso salire sul palco. La presenza non è più quella degli anni di gloria, ma appena parte il primo brano in scaletta, “You Gonna Go Far, Kid“, ogni dubbio viene spazzato via. La voce è quella di sempre e il tempo torna indietro di vent’anni: la setlist del concerto pesca i brani per la maggior parte dai tre album di maggior successo dei californiani, “Smash”, “Ixnay on the Hombre” e “Americana”. Oltre alle immancabili “Why Don’t You Get A Job“, “Come Out And Play“, “All I Want” e tutte le altre che non serve nemmeno elencare, ci deliziano con una cover di “Seven Nation Army” dei White Stripes. Unica nota dolente dello spettacolo è stata la mancanza sul palco del chitarrista storico della band, Noodles, assente per motivi familiari. Senza nemmeno rendermene conto dopo meno di un’ora e mezza il concerto è quasi volto al termine, non prima però di vedere Dexter Holland raffrescare il pubblico con un’idrante. Ancora qualche brano e luci si spengono. L’audio di “Always Look On The Bright Side Of Life” dei Monty Python invita la gente a lasciare lo stadio (in puro Iron Maiden style). Ad ogni modo, seppur vivendo ormai da quasi vent’anni grazie agli album passati, tanto di cappello al gruppo californiano che è stato capace di portare a casa senza problemi un grande spettacolo.