Altro giro, altra corsa: oggi parliamo della giornata di martedì 24 luglio in quel di Tolmin (Slovenia). Dopo aver percorso la bellissima strada panoramica tra valle, campi e montagne, con sottofondo musicale all’insegna del trash (e non thrash, attenzione) anni ’90, eccoci giungere nel cuore del Metaldays 2018.
Arriviamo quando ha già iniziato a suonare la band slovena death/thrash metal Sober Assault, che propone riff non troppo complicati e un sound che cade nel noioso facilmente.
Si passa velocemente ai vicini di casa croati Cold Snap. La band, formata nel 2003, è dedita a una specie di groove metal con riff di chitarra abbastanza pesanti, incorniciati dalle due voci maschili di Jan Kerekeš e Dario Berg che si alternano con parti in pulito, scream e growl.
Nel frattempo, ci arriva la notizia che i Lords of Black hanno cancellato il loro show in programma. Non sappiamo per quale ragione.
Ammetto che, non con troppa tristezza addosso, attendo impaziente il prossimo gruppo: i Tesseract. Scoperti, sfortunatamente, da poco, non vedevo l’ora di sentirli suonare live: ho ascoltato con piacere il loro ultimo album “Sonder” uscito a marzo di quest’anno, ma la vera fissazione è stato di certo il precedente “Polaris/Errai” (2016).
Gli inglesi iniziano a salire sul palco uno ad uno, dall’alto chitarrista James Monteith al minuto bassista Amos Williamson (che rimane a piedi scalzi per tutta la durata dello show), fino al cantante Daniel Tompkins.
Naturalmente, si incomincia lo show con l’openener dell’ultimo LP “Luminary“, per continuare con altri brani come “King” e “Smile“. Seguono poi brani un po’ più datati, come “Of Matter – Proxy” e la conclusiva “Acceptance – Concealing Fate Pt. 1“.
Gli artisti si muovono sul palco in maniera trascendentale, rapiti totalmente dalla propria musica. La voce di Tompkins è emozionante, probabilmente meglio della registrazione in studio. Non per altro, rimango con la pelle d’oca dall’inizio alla fine della loro performance.
TESSERACT
Cambio radicale di palco e, a breve, anche di genere. Il parco del main stage è ormai affollatissimo e impaziente per i Battle Beast, nota band heavy/power metal capitanata dalla carismatica Noora Louhimo. Si parte con “Straight To The Heart“, opening track dell’ultimo LP “Bringer Of Pain” uscito nel 2017 per Nuclear Blast Records.
I Nostri si destreggiano bene sul palco, con una grande carica che coinvolge con semplicità la folla slovena. Ammetto che non mi aspettavo per niente tutto questo successo da parte dei finlandesi, ma va riconosciuta sicuramente la bravura della Louhimo nella sua estensione vocale, energia e grinta.
Dopo la classica “Black Ninja“, segue un assolo di batteria e poi l’encore con “King For A Day” e l’ultima “Beyond The Burning Skies“.
Sfortunatamente il cambio di orari del main stage ha tagliato fuori dal nostro itinerario Caronte e Pallbearer, tornando in carreggiata però per lasciarci godere di The Lurking Fear e Rotten Sound.
Dei primi mi viene poco da dire se non “WOW”, una band senza fronzoli, dritta al punto, con il sound intrinseco e peculiare che solo una leggenda come Tomas Lindberg può portarsi dietro in qualsiasi situazione. Esecuzione impeccabile, carisma e presenza degne di un punto fermo del metal estremo. Con un sorriso a trentadue denti rendo omaggio all’inossidabile Tompa e ritorno sui miei passi.
THE LURKING FEAR
Approccio nuovamente il secondo palco del Metaldays per quella che a parere mio rimane una delle band più violente e pesanti del festival: i Rotten Sound. I Nostri salgono sul palco con fare disinteressato e tempo pochi secondi colpiscono così duro da ammutolire il pubblico. Malvagi, violenti, marci e abrasivi come solo loro sanno essere, mettendo insieme un set tanto semplice quanto efficace, trasformando il pietroso second stage in una carneficina. Spettacolo da brividi.
ROTTEN SOUND
Ci spostiamo di nuovo sul main stage, dove si sta esibendo uno dei gruppi storici del technical thrash metal anni ’80: i Coroner. Dopo un lungo periodo di inattività, la band si è riunita nel non lontano 2010. Il trio formato da Ron Royce a voce e basso, Tommy T. Baron alla chitarra e la new entry Diego Rapacchietti alla batteria, propone un metal decisamente pesante: di certo una goduria per i metallari più anziani e i nostalgici più giovani.
La scaletta è ricca dei grandi classici della band compresi tra gli anni d’attività che spaziano dal 1987, con “R.I.P.“, al 1993 con “Grin“.
CORONER
Si prosegue senza sosta. Il pubblico ormai ha invaso l’intero parco del Metaldays, e se ne vede molto anche seduto su per la collina. Tutti ad attendere la prossima band: gli Ensiferum. Di certo non sono necessarie molte presentazioni per l’ex gruppo di Jari dei Wintersun (e difatti nell’attesa non a caso mi ritrovo, inconsapevolmente, a canticchiare alcuni versi di “Land of Snow and Sorrow“). Vengo riportata alla realtà con l’intro “Ajattomasta Unesta” seguito a ruota da “For Those About To Fight For Metal“, brano che apre il loro ultimo album in studio “Two Paths” (2017).
Si sa, con il folk metal, è difficile sbagliare. Soprattutto in questo genere di festival e in queste zone. La folla è impazzita, non mancano moshpit e crowdsurfing conditi dalla voce di quasi diecimila persone!
La band pare essere in ottima forma, riuscendo a coinvolgere totalmente il pubblico sloveno (e non).
Ma il tempo non è mai abbastanza quando ci si diverte, perché ecco che arriviamo alla celebre “Lai Lai Hei” dai ritmi medievali, seguita dall’ultima “Iron” dell’omonimo LP del 2004.
ENSIFERUM
Non serve aspettare molto prima che “Die By The Sword” degli Accept rimbombi nella valle del Metaldays. Quando Mark Tornillo fa la sua apparizione, viene salutato da un boato generale. La band, nonostante gli anni, non sembra sentire il peso dell’età, proseguendo con uno show su cui non vi è nulla da dissentire!
I Nostri non si tirano indietro dal regalare alcuni grandi classici come “Princess Of The Dawn” e la celebre “Balls To The Wall“, cantata a squarciagola dall’intero pubblico, seguite a ruota da “I’m A Rebel” e infine “Burning“.
È tardi, ma ci spostiamo tra gli alberi del secondo stage, ormai allestito con tridenti e fuoco dappertutto per accogliere una delle band più controverse dell’ambiente black metal. Perché si sa, quanti metallari rispondono al classico stereotipo che la gente ha in mente? Quanti satanisti conosciamo veramente? Beh, non so voi, ma io nessuno. Eccetto uno: Erik Danielsson dei Watain. Ebbene, al contrario di altri gruppi black, il signor Danielsson ci crede veramente. Eccome se ci crede!
Lo show che la band propone è sicuramente uno spettacolo da vedere anche per chi, come me (ahimé), non ama molto la musica proposta ma soprattutto idee e contenuti.
Per il cantante svedese, il concerto è una vera e propria preghiera a Satana, tanto che si è spesso rifiutato di suonare in luoghi in cui non è possibile accendere fuochi. Del tutto comprensibile direi, dato che l’80% dello spettacolo è solo scenografia.
Ma parlando di musica, il gruppo ha aperto con il brano “Stellarvore“, tratto “Sworn To The Dark” del 2007, prosegue con proposte classiche ma lasciando spazio anche al loro ultimo lavoro “Trident Wolf Eclipse” (2018). Le tempistiche abbastanza ristrette fanno concludere rapidamente la performance con “Waters Of Ain“, della durata di circa un quarto d’ora. Devo ammettere che questo brano l’ho apprezzato più di tutti, forse per la componente melodica dei riff di chitarra e un assolo da brividi.
A concludere il concerto, Danielsson che porta a compimento il rito con occhi da pazzo a dipingergli il viso.
WATAIN