Ed ecco concretizzarsi il report del METALDAYS 2017, un’edizione leggermente viziata dal tempo atmosferico ma non per questo meno interessante.
Una volta radunata la squadra, il 23 luglio abbiamo fatto il nostro primo sopralluogo, ritirato i pass necessari ed esplorato le varie novità offerte dal famoso festival che ha luogo nella splendida valle di Tolmin, villaggio pittoresco sito in Slovenia. Le novità rispetto allo scorso anno non sono eccessive, escluso il nuovo palco per le band novizie non ci sono sostanziali differenze nella vita degli avventori e per noi giornalisti, escluso qualche piccolo dettaglio. Presa confidenza con le aree e con gli spazi del festival, ci siamo dedicati all’organizzazione del lavoro per l’intera settimana.
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DAY 1
La tempesta abbattutasi su Tolmin ha scombussolato ampiamente i piani per la giornata, facendo sì che i LOST SOCIETY venissero annullati sul momento. Ancora più pesante la mancanza degli XANDRIA, lasciando di fatto il main stage alla mercè dei NA CRUITHNE fino alla fascia oraria riservata agli headliners del giorno. Band che, nonostante la giovane età, ha raccolto un deciso successo sia l’anno scorso sul second stage che quest’anno in apertura del main stage: il loro folk metal non è originalissimo ma la grande presenza scenica coinvolge rapidamente il pubblico.
Fra interviste e secondo round di tempesta, la successiva band della giornata sono gli ABSU, che in diverse occasioni ha dimostrato il loro valore e la grande personalità, ma che questa volta mi lascia leggermente deluso rispetto a ciò a cui ci hanno abituati. Con mia grande sorpresa, gli ICED EARTH sono stati capaci di farmi ricredere: nonostante l’heavy metal classico non sia nelle mie corde, l’esibizione è stata oggettivamente eccellente e dinamica che mi ha sempre tenuto lontano dalle loro produzioni.
In un lampo mi trovo sotto il secondo palco, ceri e incensi sono già accessi ed è tempo per i BATUSHKA di benedire il Metaldays con la loro liturgia. Un concerto denso di emozioni, con un’elevatissimo pathos e dall’aria solenne. Forse una delle band che più attendevo all’interno dell’evento e sicuramente una delle più esclusive e particolari, incredibile come abbiano ammutolito il pubblico nei momenti dedicati a divinazioni e benedizioni, atmosfera da liturgia vera.
A questo punto della serata, carichi a mille, veniamo spiazzati dall’headliner della serata: MARILYN MANSON che, oltre a precludere l’accesso ai fotografi, mette insieme uno show svogliato, poco curato, eseguito in maniera approssimativa e tagliato malamente in anticipo rispetto a quanto previsto, spiazzando perfino gli organizzatori che di sicuro non hanno responsabilità per quanto concerne l’attività di uno specifico artista. on le pive nel sacco decidiamo di finire qui la giornata in vista del secondo giorno, assai più movimentato e ricco di impegni.
DAY 2
Premessa: le previsioni ci han subito intimorito fin dal primissimo pomeriggio, ma il breve acquazzone ha solamente cambiato l’ordine delle band, spostando i KRISIUN sul secondo palco, band che avrei preferito vedere come da programma insieme ai KADAVAR, di cui l’annullamento ci è stato notificato appena arrivati nell’area festival.
Questo secondo giorno di festival, forse il più denso, si apre con l’esibizione dei THE BLACK COURT, probabilmente una delle più grosse rivelazioni fra le band emergenti, per proseguire poi con un temporale estivo che ci costringe all’inattività. Nonostante la pioggia battente, la voglia di rivedere sul palco l’intramontabile Warrel Dane (ex Nevermore) vince ed eccoci al cospetto dei SANCTUARY, band thrash fortemente contaminata che col suo sound unico riesce a coinvolgere un discreto pubblico nonostante le condizioni meteo avverse. Di indiscutibile valore l’aggiunta in formazione del giovane Attila Vörös (ex Nevermore).
A questo punto della serata il programma si raddrizza e tutto torna a funzionare come un orologio di elvetica fattura: i KATATONIA salgono sul palco e fin da subito emerge l’enorme caratura della band svedese, che in una manciata di secondi crea un mood unico. La voce di Jonas scalda immediatamente il cuore di ogni presente e il fila liscio nella migliore delle maniere e ci traghetta verso gli inferi. Giusto il tempo di terminare, infatti, che mi trovo in attesa di veder salire sul palco i MGLA, la band che più attendevo nel bill del second stage.
La band polacca va in scena e senza la minima esitazione mette in atto uno dei concerti più belli dell’intero festival: senza la minima interazione col pubblico riescono comunque a ricreare il clima freddo, glaciale e onirico che la loro musica ispira. Sebbene una loro release manchi dal 2015 non mancano di stupire e il quartetto mi ipnotizza, finendo per commuovermi con la gloriosa “Exercise in Futility VI” messa in fondo al set, a chiudere i giochi.
Con gli occhi lucidi torno verso il palco intitolato all’inossidabile e compianto Lemmy, dove qualche minuto d’attesa iniziano il loro spettacolo gli AMON AMARTH, attesissimi headliner della giornata.
La band capitanata dal titanico Johan Hegg mette a ferro e fuoco la valle di Tolmin, con una scenografia, effetti speciali e coreografia degna di nota. Scaletta e spettacolo sono quanto di meglio un fan degli AMON AMARTH possa desiderare, la serata si conclude per il meglio e possiamo finalmente dire che il festival entra nel vivo con un headliner degno di questo nome.
DAY 3
Citando un poeta contemporaneo e usando una licenza estremamente poetica, i GRIME sono “Incagnati da paura“: la band triestina apre la giornata con molestia e attitudine esemplari, mi spiace quasi siano così indietro nella scaletta.
Prosegue la giornata e fra un impegno e l’altro si arriva finalmente ad uno degli eventi più attesi dell’intero festival: i roadie tirano sul pubblico un bancale di rotoli di carta igienica (si avete letto bene, un bancale.) e i GUTALAX sono pronti a partire.
Pochi secondi dopo l’apertura del set si scatena il putiferio: il pubblico è in festa, vola qualsiasi cosa, dai gonfiabili alla carta igienica passando per dildi, spazzoloni del wc e parti di sanitari, nonché esseri umani con i più disparati outfit. La band ceca diverte e riversa sulla gente la sua poltiglia grind senza nemmeno un pensiero, uno dei live più divertenti di cui io abbia memoria, bellissimi e divertentissimi.
Finita la sessione di risate è tempo di un autentico Eroe del metal, uno di quelli veri, una leggenda vivente che risponde al nome di ABBATH (o rolling stoned se preferite). Il buon norvegese mette in scena un insieme di clichè che nel loro insieme rendono l’esperienza indimenticabile nel suo culto: face painting, pose demoniache, una scaletta assortita con alcuni brani estrapolati dagli ultimi lavori degli IMMORTAL rendono onore al Black Metal e all’eredità che un uomo come ABBATH porta avanti. L’eclatante capitombolo a fine concerto si è risolto con un paio di graffi e qualche cocktail per tirarsi su il morale: sembra quasi che il nostro beniamino dal volto dipinto sia IMMORTALE e più in forma che mai (il giorno dopo lo vedremo nei panni di Lemmy in un tributo quanto mai fedele ai Motörhead).
Scende dal palco un eroe e salgono sul palco dei portatori di morte: soundcheck rapido ed ecco che i BLOODBATH sono pronti a lacerare, dilaniare e consumare tutto ciò che trovano sul loro cammino. La band svedese è in palla come non mai e, nonostante la nostra stanchezza (in parte anche la loro, dato che due membri avevano già suonato il giorno prima con i KATATONIA), lo show è travolgente, pesante, mostruosamente cattivo e longevo e i cinque artisti sporchi di sangue ci danno una grande lezione di Death Metal di fattura svedese. Dalla spossatezza non riusciamo a gestire l’idea di vedere DORO, e rincasiamo con in saccoccia una giornata musicalmente pesantissima, una bella carrellata di interviste e un gran presupposto per il giorno seguente.
DAY 4
Il quarto giorno inizia con un boccone assai amaro da mandar giù, con gli ARCHITECTS danno forfait. Fra una riflessione e l’altra inizia la giornata di duro lavoro fra interviste e foto e arriviamo dritti dritti ai KOBRA AND THE LOTUS, che pur non essendo una delle band di punta della giornata, mi danno una buona impressione, specie per quanto riguarda la tenuta del palco e la presenza scenica. Si prosegue quindi con i possenti RECTAL SMEGMA, che con il loro Grindcore tiratissimo danno una gran scossa all’intero pubblico.
Sul primo palco parte il viaggio con i PERSEFONE, coinvolgenti e incredibilmente complessi, a tratti magici e sognanti, in altre occasioni leggermente posticci (come ad esempio la voce di Paul Masvidal in base), tuttavia il loro show è molto piacevole ed interessante. Si prosegue con gli AVERSIONS CROWN, sfortunatamente fuori luogo e, seppur molto capaci, poco capiti dal pubblico che si lascia andare molto poco, un vero peccato.
Pubblico più numeroso, ma non di molto più partecipe, con i veterani RAVEN, che col loro Heavy classico fanno da ottimo antipasto per i piatti forti della serata. Il primo palco si tinge di colori slavati, tenui e caldi, i pastellosi BLUES PILLS salgono sul palco ed è subito amore. Pur essendo una band Blues Rock psichedelico, la travolgente Erin Larsonn rapisce il cuore di tutti i presenti con le sue movenze d’altri tempi e con la sua voce graffiante, calda e potente.
Una sorpresa notevole, che ci stimola l’appetito in vista della band più attesa di tutto il festival.
Gli OPETH potrei riassumerli in una sola parola: sontuosi. La band svedese non sbaglia niente, neppure la scaletta incentrata sul poco ortodosso “Sorceress” e il guasto che li ferma per una ventina di minuti bastano a compromettere la loro esibizione impeccabile, magica e al limite dell’umano. Il solito Mikael non ci risparmia qualche battuta nel suo stile inconfondibile e perfino il momento di pausa si trasforma in una vetrina per le doti solistiche di Fredrik Åkesson, che si cimenta in un funambolico assolo di chitarra per coprire i tempi morti.
Gli svedesi ci hanno lasciato senza parole, con una delle esibizioni che entra di diritto nella mia personale Top 5: il solo rammarico è aver avuto una scaletta poco pendente verso il passato meno prog della band.
A chiudere la serata, sul secondo palco, gli onirici e magici SOLSTAFIR, che a sorpresa danno in pasto alla marea umana ormai radunatasi una proposta musicale di qualità seppur atipica per un festival metal, accolta con mio enorme orgoglio nella maniera migliore. E sulle note malinconiche della band islandese, si conclude il nostro penultimo giorno di festival.
DAY 5
Il quinto ed ultimo giorno del Metaldays 2017 porta con se un po’ di quella malinconia da Sabato del Villaggio: ci apprestiamo quindi a godere degli ultimi show prima di far ritorno alla normalità. Assolte le nostre quotidiane task da redattori, ci si parano davanti in contemporanea gli HELL e i FIT FOR AN AUTOPSY. Certo della grande resa dei primi (potete leggere il report del Colony Open Air), decido di documentare i secondi: la band americana è in formissima, Pat Sheridan e soci imbastiscono uno show al limite del possibile. La loro potenza e la loro amalgama condiscono una proposta musicale curata: la scaletta spazia fra i loro lavori, prediligendo il recente “The Great Collapse”, i Nostri infiammano il pubblico alimentando così uno show in perenne crescendo.
Tempo di tornare sul main stage e trovare i veterani GRAND MAGUS, che con il loro mix di heavy classico, power e atmosfere epiche coinvolgono tutti e dimostrano ancora una volta di avere della grande stoffa. Set non lunghissimo ma denso, che lascia dopo poco spazio a una band dal seguito incredibile: gli EQUILIBRIUM.
La band tedesca raduna una folla incredibile che, sotto il sole del caldo pomeriggio, supporta la band in sempre più calorosamente, con il tutto che sfocia in una delle esibizioni più sentite della settimana. La band si comporta in maniera egregia e perfino i pezzi meno consoni all’ambiente scorrono con enorme successo, che dire, una grande rivelazione.
Calano le tenebre e fanno capolino i PAIN, capitanati dall’inossidabile Peter Tägtgren imprigionato nella sua immancabile camicia di forza e avvolto dal grandissimo gioco di luci che contraddistingue i live della band svedese. Rispettando la buona tradizione, la band è sempre in crescita e in questa occasione suoni, repertorio, show e presenza scenica sono impeccabili. Il versatilissimo frotman colpisce ancora nel segno e ci regala una performance incredibile.
Soundcheck interminabile, mille prove e accorgimenti e finalmente gli HEAVEN SHALL BURN sono pronti: scenografia e coreografia imponenti, fuoco, fiamme, coriandoli e luci incredibili avvolgono il palco tenuto in maniera egregia dalla band tedesca, che però sulla lunga distanza dimostra una lieve ripetitività ed una dinamica quasi assente. Ad ogni modo il set è uno spettacolo per gli occhi e, nonostante la stanchezza, il pubblico risponde in maniera esplosiva, con un’incessante movimento e risposta immediata agli input della band.
Non ci rimane che una band prima di salutare i nostri colleghi e darci appuntamento all’anno prossimo: i DEATH ANGEL.
Ultimi ma non ultimi. La band chiude il festival con uno show violento, incalzante, furente e chirurgicamente preciso nell’esecuzione, per una band in palla come poche altre se ne sono viste negli ultimi anni e che finisce per scatenare il pubblico per l’ultima volta in un mosh violentissimo, che congeda noi, la band e lo splendido scenario e ci consegna ad un meritato riposo.
NB: Fra le band proposte sul palco riservato alle nuove leve, vogliamo consigliarvi SEVEN SPIRES e OVERTURES.
METALDAYS 2017 che, nonostante il tempo inclemente dei primi giorni e le abbondanti mancanze rispetto al tabellone originale, ci ha riservato delle ottime sorprese, un affiatamento eccezionale e un’organizzazione del lato media esemplare.
Non rimane che contare i giorni per l’edizione 2018… psss… avete visto che sono già state confermate delle band validissime?