Il Rock The Castle è senza dubbio uno dei festival italiani più interessanti dell’anno, tenutosi nel castello di Villafranca di Verona dal 29 giugno al 1° luglio. Noi eravamo presenti per la seconda, ricchissima giornata di sabato 30 giugno, che vedeva come headliner i Megadeth, preceduti da Testament, Exodus, Sodom, Destruction, Exhorder, Extrema e Xaon.
Arriviamo sul posto alle 12, ma le porte sono ancora chiuse. Dopo circa mezz’ora iniziano i controlli di sicurezza, molto fiscali e dettagliati e, una volta entrati nel castello, rimaniamo colpiti dalla bellezza del posto. Troviamo diversi stand di dischi, magliette e accessori vari ma uno solo per il bere: grossa pecca del festival, dato che, inevitabilmente, le code per prendere una birra o qualsiasi altra bibita sono interminabili. A fare da contraltare, è tuttavia il cibo presente al festival: c’erano quasi una decina di food-truck con hamburger e friggitoria davvero di qualità, in Italia non avevo mai trovato una qualità così varia di cibo ad un concerto metal. Altro punto a favore del fest è il fatto che abbiano piazzato due nebulizzatori nell’area concerti, che sono stati davvero una mano santa in alcuni momenti!
Alle 13.30 arrivano sul palco puntualissimi gli Xaon. Nonostante il sole cocente, un bel gruppo di persone si raduna sotto il palco per godersi il melodic/symphonic death di questi giovani ragazzi svizzeri. I membri della band sembrano molto amalgamati tra di loro, spicca la presenza scenica del cantante, in grado di coinvolgere il pubblico. La loro performance è buona, la band ha un buon livello tecnico e dei bei suoni, ma nel complesso la loro musica risulta leggermente monotona, con delle tastiere molto presenti e la voce che si alterna tra cantato pulito e scream. Nonostante fosse l’unica band non thrash metal della giornata, sono comunque riusciti a rompere il ghiaccio e riscaldare l’ambiente come si deve.
Dopo mezz’ora di cambio palco, arriva il momento degli italiani Extrema, che travolgono il pubblico in pochi minuti con la loro cattiveria sul palco. È evidente che gli Extrema sono molto apprezzati, tanto che il sottopalco si riempie in un batter d’occhio e qualcuno inizia a pogare! La band suona un thrash metal veloce e arrabbiato, alternando dei classici del loro repertorio alla title-track del disco in uscita, “Headbanging Forever”, che dedicano al tecnico del suono Toni Soddu, scomparso prematuramente poco tempo fa.
È il momento quindi degli EXHORDER, la prima band del festival che ho realmente apprezzato. Suonano un thrash tradizionale, ma con dei suoni cupi e aggressivi a metà tra l’old school e il moderno, un mix irresistibile. Sul palco si presentano particolarmente energici, tra i pochi gruppi della giornata in grado di trasmettere ai presenti la loro passione per la musica, la loro voglia di essere lì e fare casino, e il pubblico lo sente, tanto che il pogo si allarga e le presenze sotto al palco cominciano ad essere tante. Una piacevole sorpresa, spero di rivederli presto!
Giusto il tempo di andare a prendere una birra e tornare verso la zona live, che il logo dei Destruction si innalza dietro al palco in tutta la sua maestosità. Metto le mani avanti subito dicendo che amo particolarmente questa band e non so se riuscirò ad essere oggettiva! Dopo un breve intro, iniziano la performance con la classica “Curse The Gods“. In pochi minuti fanno capire al pubblico chi comanda, la loro energia e il loro modo di interagire con i presenti non hanno eguali. Con mia piacevole sorpresa, la loro setlist si concentra quasi interamente su pezzi storici, come “Mad Butcher” e “Nailed To The Cross“, che mandano gli spettatori in visibilio. Il moshpit è ormai diventato enorme, l’atmosfera è stata riscaldata a sufficienza per esplodere con la doppietta finale “Thrash ‘Till Death” e “Bestial Invasion“. I teutonici sono una garanzia in termini di energia, presenza scenica, velocità e con loro è impossibile non fare headbanging fino alla morte. Promossi a pieni voti senza ombra di dubbio!
Trascorsa la solita mezz’ora, i Sodom ancora non arrivano. Dopo più di trenta minuti, per un’ora complessiva di attesa, varcano la soglia del palco: il tremendo ritardo sembra dovuto ad un problema con l’aereo, ma purtroppo questo fa sì che i Sodom possano suonare poco più di venti minuti, facendo storcere il naso ai presenti. Naturalmente non è stata colpa loro, né degli organizzatori, ma l’amaro in bocca è rimasto comunque a tutti. C’è da dire che in soli venti minuti Angelripper e soci riescono a travolgere il pubblico con una grande carica sul palco, con il frontman che sembra particolarmente in forma! La scelta della scaletta, invece, non è stata delle migliori: speravamo che, avendo un tempo ridotto, avrebbero selezionato i grandi classici invece di proporre la solita setlist, ma almeno hanno eseguito alla grande “The Saw Is The Law“, con la quale si congedano e salutano il pubblico, scusandosi per il ritardo e per la breve performance.
Seguono gli Exodus, senza dubbio tra i live migliori della giornata. La band ha un livello tecnico altissimo, dei suoni abbastanza moderni ma senza mai correre il rischio di essere “plasticosi”, e Steve Souza è il padrone assoluto del palco, ha un modo di comunicare e coinvolgere il pubblico che non avevo mai visto: gli bastava uno sguardo agguerrito per far partire il pogo in un lampo. Passata la delusione dei Sodom, il pubblico è più attivo che mai! Si vedono le prime persone fare crowdsurfing, il mosh diventa gigantesco e violentissimo e addirittura c’è il primo wall of death della giornata. La band alterna pezzi recenti come “Blood In – Blood Out“a classici come “A Lesson in Violence” e “The Toxic Waltz“, e la cosa incredibile è che in entrambi i casi la resa è eccellente. La loro musica velocissima e impazzita ha sconvolto tutti, per questo gli Exodus sono probabilmente i padroni assoluti della giornata.
Tocca adesso ai Testament: il primo a varcare la soglia del palco è il grandissimo Gene Hoglan, seguito da tutti gli altri che arrivano super energici e saltellanti. I californiani sono esempio di pulizia, tecnica, precisione e forte presenza scenica, un mix letale che non può non coinvolgere tutti gli spettatori! Ormai il sottopalco è completamente pieno di metallari di tutte le età, dai ragazzini di diciott’anni ai cinquantenni, e si vedono addirittura delle famigliole con i bambini piccoli: i Testament sono amati da tutti. La setlist non presenta niente di diverso rispetto a quelle degli ultimi anni, se non per l’aggiunta delle nuovissime “Brotherhood of the Snake“, “The Pale King“e “Stronghold“.
Non potevano mancare all’appello dei classiconi quali “More Than Meets The Eye“, “The Preacher” e “Into The Pit“. Purtroppo, però, la scaletta è durata dieci minuti in meno del previsto, e non si è ancora capito il motivo. Un’altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è il fatto che i Testament siano stati gli unici ad avere problemi di volumi: in alcuni punti, la voce di Chuck Billy scompariva totalmente. Per fortuna, trascorsa la prima metà del concerto, i suoni sono stati stabilizzati. Grande concerto anche per i Testament, nonostante tutto!
Ho speso parole bellissime per Destruction e Exodus, ma con i Megadeth la mia adorazione arriva alle stelle. Forse perché aspettavo da tanti anni di vederli, forse perché “Rust In Peace” è uno dei miei dischi thrash metal preferiti, sta di fatto che non appena la band arriva sul palco e attacca con “Hangar 18“, io sono già in lacrime. Il livello emotivo di questo live, per quanto mi riguarda, è elevatissimo: la band, infatti, sceglie di eseguire tanti altri pezzi del su citato album, quali “Dawn Patrol“, “Poison Was the Cure“, “Take No Prisoners“e l’immancabile “Tornado of Souls“, facendo la felicità mia e di tantissimi altri spettatori. Qui non posso non spendere due parole per il nuovo acquisto dei Megadeth, il chitarrista solista Kiko Loureiro, a mio parere il chitarrista più adatto che i Megadeth abbiano avuto dai tempi di Marty Friedman. L’unica pecca del gruppo sembra essere la voce di Mustaine, che sicuramente non è in gran forma, ma nonostante tutto tra alti e bassi riesce a cavarsela. La piacevole sorpresa, invece, è stata la scelta di inserire in scaletta pezzi come “The Conjuring” e “My Last Words“. Non poteva mancare la bellissima ed emozionante “In My Darkest Hour“, durante la quale molte persone hanno tirato fuori gli accendini e rivolto lo sguardo al cielo, dato che, come probabilmente saprete, il pezzo è stato scritto in memoria di Cliff Burton (Metallica). Questo dimostra che la musica dei Megadeth non è soltanto energia, velocità e tecnica, ma anche forti emozioni, lacrime e brividi. La storica band thrash metal conclude il concerto con l’immancabile “Holy Wars – The Punishment Due“, un finale perfetto per un live perfetto.
L’organizzazione del Rock The Castle ha sicuramente alcune cose da sistemare, come le code di infinite di cui parlavo sopra e il fatto che non abbiano messo a disposizione dei braccialetti per poter comodamente uscire e rientrare nell’area festival, ma d’altronde è una prima edizione, era impossibile che fosse perfetta. Speriamo di poter ripetere quest’esperienza anche il prossimo anno, magari con dei piccoli aggiustamenti!