La Wiener Linien (la compagnia del sistema dei trasporti viennesi) ha appena accolto il mio vagone della metropolitana con un sentito annuncio di ringraziamento per aver usato il trasporto pubblico e con un augurio di buon concerto. La giornata promette bene!
L’Ernst Happel Stadion comincia a riempirsi già due ore prima del supposto “calcio d’inizio”. I vari stand spillano birra a fiumi, mentre si addentano pretzel per sopire la fame. Stimo una presenza di circa 30.000 persone, sapendo che si è raggiunto il sold out in poche ore, tanto che il management ha scelto di assegnare una seconda data a Vienna. Stesso posto, stessa ora, ma il giorno successivo.
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Alle 19 non si muove ancora nulla, nonostante la tipica puntualità austriaca – e tedesca.
Commenti dalla folla. Per fortuna ci è stata risparmiata la pioggia di questi giorni e la temperatura è piacevole nonostante sia pieno agosto.
Alle 19.30, finalmente, un raggio di speranza: si illumina un palco secondario, alla destra e più avanti rispetto a quello principale. Due donne, vestite di rosso, pianiste, cominciano a suonare con vigore le maggiori hit della band che stiamo tutti aspettando, i nostri Rammstein. Sono il duo Jatekok, di origine parigina.
L’effetto è piacevole, ma dopo la terza-quarta canzone comincio ad irritarmi. Non sono l’unica, il mormorio di disapprovazione si fa sempre più intenso, ed è chiaro che gli applausi e le urla alla fine dei vari brani sono più diretti a incitare la band a comparire sul palco.
E’ solo con il buio, alle 20.30, che tutto si spegne.
Per poi riaccendersi col botto. L’imponente palco nero e metallo, che ricorda una struttura industriale con due enormi riproduzioni di tastiere da chitarra al centro a fare da colonne portanti, letteralmente esplode.
Si passa dall’intro di Handel al primo pezzo della setlist. L’intenzione del tour è quella di presentare il recente album – la recensione la trovate qui. Per questo si inizia con “Was Ich Liebe”, che a dire il vero in pochi sembrano conoscere approfonditamente.
Sono pochi gli animi che si accendono con i primi cinque brani (tra cui “Links 2-3-4” e “Sehnsucht”). Mentre l’intero stadio esulta all’arrivo del primo classico, “Mein Herz Brennt”. Il palco si tinge di rosso e con le scritte e le animazioni digitali mi ricorda la sigla di Stranger Things. Ecco che riconosco il pubblico germanofono, che accompagna parola per parola l’amato testo.
Ritorna la calma con i tre pezzi successivi – “Puppe” piace, ma rimane nella classifica degli “orecchiabili”. E poi un altro colpaccio: il tastierista sale su un ascensore montato tra le due strutture a forma di tastiera di chitarra e mentre sale si lancia in una esibizione degna dei Daft Punk: la musica elettronica disorienta tutti, ma ben presto si riesce a riconoscere il ritornello del pezzo d’eccezione dell’ultimo album, “Deutschland”.
Tolto ogni dubbio, il pubblico underground si lascia andare al ritmo atipico. Sanno che è solo il riscaldamento. Grande attesa. Grande aspettativa.
L’ascensore cala.
È “Deutschland” in tutta la sua cruda brutalità. Il pezzo è spettacolare. E gli effetti speciali non si risparmiano: fuochi dalle quattro torri che circondano il centro dello stadio (e che ridistribuiscono il suono tramite colonne di amplificatori), vampate dalle enormi tastiere di chitarra, piogge di strisce di carta su tutto il pubblico.
Adesso comprendo perché non hanno nessun bisogno di supporters per i loro tour. I Rammstein sono completi, a tutto tondo, soddisfacenti… fanno valere ogni centesimo dei 100€ minimi richiesti per un posto in piedi.
E poi sanno tutti che arriverà il momento in cui si potrà tornare indietro nel tempo.
E quel momento arriva. Dopo una “Radio” assai accattivante, ecco la triade: “Du hast”, “Sonne”, “Ohne dich”. Mi scende la lacrimuccia a pensare che i miei primi insegnanti di tedesco sono stati quei sei scappati di casa!
Purtroppo con “Ohne dich” sembra tutto finito. C’è chi si muove per raggiungere i bagni in fondo allo stadio, prima che anche gli altri abbiano la stessa idea.
Ma il palco secondario si riaccende di nuovo. I componenti della band sono assieme alle pianiste Naïri Badal e Adélaïde Panaget per offrirci una versione acustica davvero raffinata di “Engel”.
Il pubblico, emozionato, accompagna con sicurezza i membri della band verso il palco principale, in un crowd surfing eseguito su alcune zattere di salvataggio. Il primo a raggiungere il palco è Lindemann, il quale si appresta a prendere un cartello e poi a raggiungere di nuovo l’estremità della struttura. Sul cartello c’è scritto chiaramente: “Willkommen”.
Il riferimento è chiaro a tutti. Refugees Welcome è un’associazione umanitaria nata in Danimarca, ma ben presente sia in Germania che in Austria, soprattutto a partire dal 2014, con la crisi migratoria.
Con in mano il cartello, Till aiuta i compagni a scendere dai canotti.
Molte testate tedesche stanno notando questa politicizzazione della band, che nell’ultimo anno si sta esprimendo attraverso i nuovi testi, i video e queste esibizioni in tour. Basti pensare all’intricata rappresentazione della Storia tedesca nelle sue luci e ombre in “Deutschland” (tematica complessificata dall’ambiguo sentimento di orgoglio e vergogna che il tedesco prova per il proprio senso di appartenenza) o alla questione sollevata da “Radio”, in cui si ricorda l’impossibilità di ascoltare liberamente la radio all’interno della Repubblica Democratica Tedesca.
A sottolineare ulteriormente il tema politico del gesto che i Rammstein hanno appena compiuto, la canzone immediatamente successiva è “Ausländer” (“straniero”). Da una parte un riferimento a quelli che arrivano in Europa, dall’altra al passato colonialista europeo – il recente video del track, infatti, rappresenta esploratori, colonialisti e missionari in Africa.
Due canzoni più leggere a seguire: “Du riechst so gut” e “Pussy”. Si ritorna ai tempi più sex&gore della band.
E il grande finale. “Rammstein” fa ripartire la macchina incendiaria così come l’indimenticabile “Ich will”. Il calore delle fiamme che si diffondono per tutto lo stadio mi fa sudare, certo, ma non tanto quanto il mio saltellare irrefrenabile.
Si è arrivati all’apice. Letteralmente: sotto riflettori cocenti, la band sale sull’ascensore, questo si eleva fino al punto massimo e poi *BAM* scompare tra fuochi d’artificio e titoli di coda.
Da brivido. Due ore da brivido.
Un concerto dei Rammstein non si scorda mai.