Szene. Vienna. 6 maggio. La fila si allunga davanti al gate di uno dei palchi più calcati di Vienna, con più di 25 anni di attività alle spalle. Stasera si viaggia tra generi e culture, spaziando dalle arie power dei Wind Rose a quelle imperiali marchiate Ex Deo fino ad approdare al duro folk finlandese degli Ensiferum.
Aprono le danze appunto i Wind Rose, band toscana con tre album all’attivo, in primis il recente “Stonehymn”, di cui avevamo dato notizia. A fare da cornice sono pezzi dei soundtrack de Lo Hobbit. Colpisce la carica del gruppo, in particolare del frontman Francesco Cavalieri, che si getta fin da subito in uno sfrenato headbanging, sulle note di “Fallen Timbers“. Ma diciamolo chiaro: “To Erebor“ è il vero masterpiece di stampo tolkieniano. Ed il pubblico approva compiaciuto: nelle prime file si inizia a ballare. Il genere è noto, ma ben eseguito. Un fitto alternarsi di luci accompagna il pezzo di chiusura, “The breed of Durin”. Colgono l’occasione per promuovere il loro merchandise e difatti li incontro subito dopo davanti al banco, a firmare cd e ringraziare vecchi e nuovi fans.
Quando è l’ora degli Ex Deo sul palco cala una cortina di luce rossastra. Tutto ricorda il sangue di cui sono intrise le mani degli imperatori romani nei secoli: sangue di nemici e di amici. All’entrata di Maurizio Iacono il boato: un uomo, un personaggio. La sua presenza dà il via a “The Rise of Hannibal“, primo pezzo di una serie di excursus tra tutti gli album della band. In seconda battuta arriva il mio pezzo preferito, “I, Caligvla“, che viene eseguita da manuale: nota dopo nota, parola per parola, seguiamo tutti l’evolversi del capolavoro. Con “Pollice Verso” arriva puntuale il riff di Stéphane Barbe e l’urlo di Iacono: “Are you still alive?” La triade finale conta brani d’eccezione: “Final War“, “The Roman“ e – ovviamente – l’epico “Romulus“. Niente da dire, se non il meglio: coinvolgenti, vibranti, aggressivi. Questo volevano gli astanti, questo hanno ottenuto.
Manca poco all’arrivo dei protagonisti nordici della serata. Non c’è un centimetro quadrato di spazio libero nella sala. Il chitarrista Markus Toivonen entra in scena brindando. Si parte con “For Those About to Fight for Metal“: nuova ma ben conosciuta dai più. L’intero pubblico partecipa ai cori di brani ben radicati nella tradizione degli Ensiferum come “Heathen Horde“ e “In My Sword I Trust“. Brevi interruzioni da parte di Markus e di Sami Hinkka e lo show è servito: come se non fosse già caldo a sufficienza, il pubblico viene ulteriormente acceso con accenni a grandi classici come “Smoke on the Water” suonati a chitarra verticale, dietro la testa o in cima alle casse. Poi il lento avvio di una delle canzoni più famose della produzione finnica: la lingua non è un problema quando parliamo di “Lai Lai Hei“. La sala è unita nel canto che scuote il petto: Petri Lindroos non avrebbe neanche bisogno di aprir bocca, che tanto andremmo avanti imperterriti. La band deve ripetere il tema del pezzo più e più volte, finché desiste per poter giungere alle battute finali. Ma il problema torna a porsi sulle note di “Iron“: Tutti vogliono che gli Ensiferum rimangano sul palco a suonare per ritornare indietro di dieci anni, ormai. Se accennano a smettere, si canta e si esorta a proseguire.
È ormai tardi e la sala va lasciata velocemente. Volti stanchi, stremati. Guardaroba e via. Sulla via incontro ancora i Wind Rose per un drink tra italiani, che poi si allarga ad includere un po’ tutti coloro che sono rimasti a vagare per i corridoi.
La notte appare dunque ancora giovane… e dire che è domenica!