Dopo essere stati protagonisti di un tour italiano (qui il report della data di San Donà di Piave), di uno americano in supporto degli Epica l’anno scorso e di un altro tour europeo insieme a Carach Angren e Nightland quest’anno, i nostrani Fleshgod Apocalypse hanno suonato lo scorso 12 luglio al Ferrock Festival di Vicenza, per quella che è l’unica data italiana di quest’estate.
Il gruppo è stato in grado negli ultimi anni di attirare molta attenzione mediatica su di sè, tramite una proposta musicale particolare che mischia il Death Metal più estremo alla musica classica e lirica, e può vantare un seguito sempre più elevato, risultando senza dubbio una delle realtà tricolori con più successo in patria e non.
Giunto al Parco Retrone con largo anticipo, le persone presenti non superavano qualche decina: ho seguito con interesse il soundcheck dei FLESHGOD APOCALYPSE, per poi curiosare tra i vari stand nella zona del festival.
Girando mi ritrovo verso le 19:30 nei pressi del secondo palco, dove l’attenzione è concentrata sulle migliori band metal del Vicenza Rock Contest 2017, ma dopo poco tempo mi sono indirizzato verso il palco principale, sia per la qualità non molto convincente del second stage, sia perché ormai mancava poco agli opener dei Fleshgod Apocalypse, tali GOLDEN JUBILEE.
La band vicentina è attiva dal 2011, ma ha rilasciato il primo album, “Experiencing Lives“, solo quest’anno.
I Nostri propongono un Symphonic Metal che in certi punti ricorda gli Evanescence con parti più sperimentali, non proponendo nulla di innovativo ma convincendo lo stesso a tratti.
Ciò che ha maggiormente penalizzato la loro performance sono i suoni mal equilibrati: la voce di Margherita Conforto veniva spesso coperta dagli strumenti ed il basso di Ottavio Andreella era troppo alto, facendosi sentire quasi quanto la chitarra.
I GOLDEN JUBILEE hanno suonato per circa quaranta minuti, proponendo anche l’aggiunta di una voce maschile in “Heal Me” che ha convinto parecchio.
Tempo del cambio di palco, di un breve spettacolo per ricordare il ventennale del Festival e che la quota d’ingresso è stata donata in beneficenza ad ABAut ABA, progetto a sostegno dei pazienti affetti da autismo, e tocca ai tanto attesi FLESHGOD APOCALYPSE.
La formazione perugina vede alla chitarra Fabio Bartoletti (chitarrista dei DECEPTIONIST), sostituto di Cristiano Trionfera anche nello scorso tour europeo: in un breve chiacchierata con il mio collega Alberto Olivi (che ha curato le foto della serata) ha affermato che nei loro concerti la parte più difficile non sono i pezzi, ma lo spettacolo in sè.
Detto questo, passiamo al concerto.
Essendo di supporto all’ultimo album della band, “King“, le prime tre tracce sono le prime di tale, ovvero “Marche Royale“, “In Aeternum” e “Healing Through War“.
Purtroppo, i problemi sonori riscontrati in precedenza si fanno risentire nuovamente: la chitarra dell’appena citato Bartoletti è molto bassa, come si nota durante gli assoli dove si sente troppo la parte ritmica, rendendo il suono impastato, e lo stesso vale per la voce lirica di Veronica Bordacchini, per la quale il volume è stato alzato in seguito, fortunatamente.
Come ci si poteva aspettare, i Nostri si sono dimostrati devastanti sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista scenico, con i loro vestiti ottocenteschi e piccoli dettagli rilevanti come il calice di vino sul tavolino, a fianco della Divina Commedia, della quale Tommaso Riccardi, leader della band, ha letto dei versi per aprire “The Violation“, brano tra i più celebri della band.
All’interno della setlist ci sono rimandi ai primi album, come “The Forsaking” e “The Egoism” dal disco “Agony” (2011), oppure “In Honour Of Reason“, dal debutto, “Oracles“, datato 2009, affiancati a pezzi tratti dalle ultime due fatiche, “Pathfinder“, “Prologue” ed “Epilogue” da “Labyrinth” e “Cold As Perfection“, “The Fool“, “Gravity” e “Syphilis” (oltre alle tre già citate) da “King“.
Tirando le somme, è stato un concerto soddisfacente e molto coinvolgente nonostante qualche problema di poco conto; i FLESHGOD APOCALYPSE dimostrano nuovamente di come la loro resa dal vivo sia qualcosa di unico.