In occasione loro ventesimo anniversario, gli EVERGREY hanno deciso di fermarsi per un’unica data in Italia. Come luogo hanno scelto il Legend Club di Milano, location forse un po’ ristretta per una band di questo calibro.
Gli EVERGREY sono una band proveniente dalla Svezia e usano un approccio stilistico quasi impossibile da emulare. Il loro è un sound Power/Progressive, ma che presenta anche un tocco di oscurità, tanto da arrivare a dei leggeri attimi con sonorità che si avvicinano al Gothic. Con le loro tematiche tristi e decadenti hanno avvicinato una gran schiera di fan sia in Italia che nel resto del mondo. Ultimo lavoro uscito l’anno scorso, “The Storm Within“, segna l’apice compositivo più Progressive mai raggiunto dalla band.
Essendo patiti di questo genere, io e il mio collega abbiamo deciso di andarli a vedere per l’unica data italiana, ma per vari contrattempi il tragitto è stato più lungo del previsto e non abbiamo potuto assistere alle esibizioni dei SUBLIMINAL FEAR e dei NEED.
I primi, pugliesi, autori di un Melodic Death con sfumature industrial, mentre i secondi provenienti da Atene e di chiara matrice Prog, rimodellato e fuso con una sorta di metal malinconico. Riusciamo a vedere giusto gli ultimi sprazzi della loro esibizione, antipasto ideale prima degli EVERGREY!
Conclusa la loro esibizione, attendiamo tutti impazientemente l’arrivo degli headliner, che salgono sul palco puntuali dopo il soundcheck. Un po’ di fumo come effetto e si parte con “Solitude Within“, primo pezzo della loro scaletta tratto dal loro secondo album del 1999. Un pezzo veloce, deciso e al contempo malinconico grazie al frequente uso delle tastiere. La voce di Tom Englund è qualcosa di incredibile, potente, ma allo stesso tempo piena di tristezza.
Proseguono con dei pezzi più recenti, come “Leave It Behind Us” del 2011 e “The Fire” del 2014, per poi passare a qualche assaggio del loro ultimo album.
Dopo un paio di canzoni veloci e aggressive, fanno di nuovo un salto nel passato con una traccia sempre del secondo album. “Words Mean Nothing“, la prima loro che abbia mai ascoltato degli svedesi! Di una bellezza oscura e con un testo da far scendere qualche lacrimuccia dal viso.
Poi ancora tre pezzi per concludere la scaletta principale. Per soddisfare il pubblico ancora affamato di musica, hanno sfoderato la bellezza di altre quattro tracce, interrotte da un intenso assolo pinkfloydiano di Henrik Danhage.
Chiusura in bellezza con “King of Errors” ed esausti, col viso imperlato di sudore, hanno salutato noi fan con un selfie di gruppo.
Unici nei della serata, dal punto di vista visivo, sono stati forse il troppo fumo e l’uso eccessivo e ossessivo di luci scure o a intermittenza che stancavano non poco la vista.
Musicalmente parlando niente da dire, gli headliner sono stati eccezionali e non hanno sbagliato neanche una nota. Soddisfatti, abbiamo persino fatto man bassa nel merchandising della band acquistando T-shirt e CD prima di tornare a casa col sorriso.