PYRRHON – Abscess Time

Caos caos caos. Assoluto caos, assoluta follia.

Schizofrenia condensata in uno schiaffo, un’ora di folle rumore, di ansia, di claustrofobia che i Pyrrhon chiamano “Abscess Time“, quarto album del gruppo newyorkese, quarto viaggio psichedelico in un reame al di fuori di spazio, tempo e sanità mentale.

Il quartetto non infila nessuna nota al posto giusto, riempie le orecchie, gli occhi, la mente, lascia nudi in un angolo freddo, buio e coloratissimo, che non è altro che il retro del nostro cervello, dove lasciamo il rumore di fondo, il rumore delle nostre vite, il rumore da dimenticare, il rumore, quel rumore. E loro lo tirano fuori, scavano e lo tirano fuori, quel rumore, e lo incidono sui dischi e ci mettono una copertina colorata e dicono “Questa è roba difficile da ascoltare”. E se sei testardo vai a sentirtela lo stesso e ti riempi le orecchie, gli occhi, la mente, rimani nudo in un angolo freddo che non è altro che il retro del tuo cervello. E vivi un’esperienza fuori dal normale. È una cosa da fare a occhi chiusi, in meditazione, in religioso silenzio. Lasciarsi schiaffeggiare da un delirio claustrofobico che esplode e si comprime e si espande e diventa il tutto e poi ritorna a nulla, pura unità originaria, moltitudine putrescente di luci e archetipi sonori, il rumore, quel rumore, è una cosa da fare ad occhi chiusi, in religioso silenzio.

Il quartetto non infila nessuna nota al posto giusto, ti lascia sciogliere e colare tra le pieghe di un tempo che passa senza esistere, che piega lo spazio, che ti soffoca in suoni di strumenti assurdi, che ti lascia boccheggiando ad aspettare di uscire dal limbo delle esperienze finite e di diventare tutt’uno col rumore, con l’angoscia, con la fine.

Non c’è una nota che ci si aspetti. Dopo mille ascolti ancora sorprende, ancora getta nell’eterno ritorno dell’onda ritmata che scuote i tamburi di Schwegler, ancora culla nell’ebrezza stravolta dei gridi di Moore, ancora ti guarda soccombere sotto le dissonanze di DiLella e Malave. Dopo mille ascolti è ancora musica del futuro, impensabile, caleidoscopica, schizofrenica. È musica molle e appiccicosa, da ubriachi e da folli.

E se taci, se taci per un momento, se spegni i pensieri, se esisti nel rumore, quel rumore, ogni rumore, c’è caso che per un istante, solo un istante, solo un unico istante, tu ti senta come il primo uomo che ha ascoltato il mondo crollare.

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