PSYCHOTIC WALTZ – The God-Shaped Void

Parlare degli Psychotic Waltz è come riesumare un vecchio cimelio, una gemma che, nonostante gli anni passati, brilla oggi come allora non risentendo dei decenni ormai trascorsi. Il loro debutto “A Social Grace” (1990) è ancora oggi un album dotato di un’atmosfera unica, in grado di trasportare l’ascoltatore in una dimensione sinistra e pazzoide, piena di spirali e follie di ogni tipo, un album che cresce a ogni ascolto, mostrando di volta in volta nuove sfaccettature. Sento anche il dovere di complimentarmi con Mike Clift, che ci propone un artwork perfettamente coerente con la musica. L’ascolto di quest’opera è un viaggio che consiglierei a chiunque sia amante di certe sonorità contorte e, appunto, psicotiche.
Gli Psychotic Waltz erano però consci di non poter ripetere il miracolo copiando il precedente lavoro, per questo con il successivo “Into The Everflow” (1992) virarono su sonorità più atmosferiche, ma ugualmente coinvolgenti e per la seconda volta il gruppo riuscì a stupire. I successivi “Mosquito” (1994) e “Bleeding” (1996) furono album più diretti e melodici, ma non per questo meno interessanti, e per decenni hanno rappresentato l’ultima testimonianza di uno stile unico ed inimitabile.

Questo nuovo “The God-Shaped Void” segna il ritorno della formazione storica degli Psychotic Waltz, composta da Devon Graves alla voce e al flauto, Brian McAlpin alla chitarra, Dan Rock alla chitarra e tastiera, Ward Evans al basso e Norman Leggio alla batteria. Stilisticamente si pone come l’evoluzione del sound di “Bleeding”, riprendendone la struttura maggiormente improntata sulle melodie, con tuttavia una particolare attenzione nel ricreare atmosfere drammatiche e intime, dall’aria melanconica, in grado di coinvolgere l’ascoltatore traccia dopo traccia. La melanconia è infatti parte integrante di questo lavoro: il gruppo ci ha voluto coinvolgere in un viaggio alla scoperta del loro lato più intimo e sentimentale, grazie alla loro capacità di creare melodie emozionanti che ci accompagnano in paesaggi sognanti e crepuscolari.
Episodi come “While The Spiders Spin”, “Season Of The Swarm” o “Sisters Of The Dawn” sono in grado di regalare momenti di musica altissimi, tra linee vocali azzeccate e sezioni soliste memorabili.
Come di tradizione gli Psychotic Waltz arricchiscono il loro già corposo sound con sezioni di flauto che rimandano ai Jethro Tull, da sempre considerati maestri dai nostri progster statunitensi (“I Remember”, contenuta nel loro debutto, è una dichiarazione d’amore neanche troppo celata al gruppo di Ian Anderson).
I testi invece parlano del mondo moderno e delle sue implicazioni (”Demystified”,“While The Spiders Spin”), dell’uomo a metà tra il bene e il male, sia moralmente (“Devils And Angels”, “Stranded”) che concretamente (“Pull The String”, “All The Bad Men”), utilizzando spesso un immaginario simil-biblico composto da angeli, santi, demoni e serpenti per veicolare riflessioni sull’umanità e sul mondo che sta plasmando con le sue stesse mani, nel bene e nel male.
L’album gode di una produzione potente e moderna ad opera di Jens Bogren, capace di far risaltare ogni strumento ed evidenziare le doti espressive di Graves, ancora in grado di offrire una prestazione più che sufficiente, nonostante i molti anni passati.

Aspettarsi nel 2020 un nuovo “A Social Grace” sarebbe stupido, il paragone non penso abbia senso farlo, ma gli Psychotic Waltz hanno rilasciato un album che, al netto di qualche incertezza (per esempio “The Fallen” ha un ritornello eccessivamente ridondante, che potrebbe stancare l’ascoltatore), dimostra la classe di chi la storia del Progressive Metal l’ha scritta. Piuttosto che stravolgere il loro sound, che vanta una personalità tale da risultare ancora oggi attuale (nonostante l’ovvio vibe anni ’90/primi ‘00), gli statunitensi hanno preferito continuare sulla strada intrapresa 24 anni prima con “Bleeding”. Sicuramente avrebbero potuto osare di più, ma speriamo che “The God-Shaped Void” segni un nuovo punto di partenza per il gruppo e che non venga ricordato come l’ultimo saluto di una band straordinaria.

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