PARADISE LOST – Medusa

Arrivati al quindicesimo album, i PARADISE LOST portano alle nostre orecchie un’opera più caratteristica e complessa del precedente “The Plague Within”. Escono con “Medusa” per Nuclear Blast Records, registrato agli Orgone Studio di Woburn, in Inghilterra, sotto la produzione di Jaime Gomez Arellano.

Lunga è stata l’attesa, molti hanno storto il naso quando era arrivata la notizia del passaggio dei Nostri sotto sotto l’etichetta tedesca, molti ancora sono in trepidante attesa di sentire il nuovo album e chissà se avrà lo stesso impatto del precedente, almeno a livello musicale e compositivo. Un album di ben 42 minuti composto da sole otto canzoni che, per quanto riguarda lo stile, si colloca bene nel panorama Doom Metal attuale, con quel pathos immediato che piace al primo ascolto. Un sound molto diverso dai precedenti lavori, che mette insieme potenza e violenza come ci si aspetta da una band di questo calibro.

Si parte con “Fearless Sky“, che sembra un estratto da “Lost Paradise”, con una struttura semplice e diretta, dove Holmes parte con un growl selvaggio che poco alla volta si trasforma in una voce melodica e che ben si sposa con le fredde melodie che ci aspetteranno in tutto questo “Medusa”. La seconda traccia, “Gods of Ancient“, arriva all’orecchio con riff gelidi, diretti e d’impatto per poi rilassarsi solo con la successiva “From the Gallows“, la traccia più breve del lotto con delle linee molto melodiche e un ritornello molto orecchiabile che ci resterà in testa per un po’.

The Longest Winter” credo la si possa considerare l’highlight dell’intero album, con un’intro molto atmosferica che ci porta direttamente in un canzone che dà l’idea di un ambiente ostile. Holmes si dimostra perfettamente a suo agio nella voce growl come nella voce pulita che ci ha accompagnato negli ultimi anni coi Paradise Lost e le melodie “decadenti” di cui Greg Mackintosh ci ha parlato nell’intervista si fanno sentire in tutto il loro splendore. Possiamo dire che è il pezzo d’incontro tra la band di “Gothic” e quela di “Draconian Times”.

Tempo di realizzare che la successiva titletrack è come il seguito naturale della traccia su citata, che ci accorgiamo di essere giunti alla fine dell’album col trittico “No Passage for the Dead“,”Blood and Chaos” e “Until the Grave“: queste ultime dimostrano che i Paradise Lost sono ancora gli stessi che ad inizio anni ’90 diedero vita ad un genere nuovo, assieme ai connazionali My Dying Bride e Anathema, solo con una marcia in più.

La produzione, come detto in apertura, è stata affidata a Jaime Gomez Arellano, il quale ha dato all’album un tocco “moderno ma old school”: chitarre piene e corpose, tutti gli strumenti sono udibili. Ognuno ha il suo posto all’interno del sound, compresa la new entry Waltteri Väyrynen alla batteria, il quale fa un ottimo lavoro che ben si addice alla band di Halifax.

Concludendo, questo “Medusa” dimostra che la band, giunta al quindicesimo tassello della propria discografia e con quasi tre decadi di vita è ancora viva e vegeta: nonostante le varie evoluzioni nel proprio sound con il passare degli anni, non hanno mai perso la loro identità, anzi, hanno perfettamente plasmato il loro sound amalgamando melodia e aggressività.

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