LORD OF THE LOST – Swan Songs II

Poliedrici fautori di un industrial rock sempre molto elaborato e mai scontato, i teutonici LORD OF THE LOST ripetono un esperimento già tentato un paio di anni prima con “Swan Songs” per regalarci il suo degno successore, “Swan Songs II“, pubblicato per Napalm Records lo scorso 6 ottobre 2017. Era infatti il 2015 quando la band faceva uscire una compilation di brani in cui a farla da padrone erano gli arrangiamenti orchestrali e una linea vocale che cavalcava il range di note medio-basse. Si assisteva così a un’importante variazione di un canone che dalla lezione dei Rammstein e del reverendo Manson adesso si spostava su di un’elegante commistione di gotico e neoclassico.

E la stessa commistione la ritroviamo oggi in “Swan Songs II”, segno che quel primo esperimento aveva destato un certo interesse dimostrandosi un lavoro di indubbia qualità. Chris Harms (che, ricordiamo, è pure violoncellista) torna così a cimentarsi con un modo di far musica più vicino a gruppi come Type 0 Negative, H.I.M. e Swallow The Sun, il tutto però rigorosamente unplugged. Non v’è infatti spazio per la chitarra elettrica in questo album, perché le uniche protagoniste vogliono e devono essere le atmosfere romanticamente decadenti nella loro purezza. Atmosfere che, è bene precisare, diventano un concetto al quale la componente orchestrale si sottomette completamente. Tappeti di archi, organi e ottoni non producono infatti melodie la cui magnificenza è fine a se stessa – cosa che ahimè accade per molti gruppi symphonic – ma tessono assieme le trame di un mondo oscuro di emozioni riversate in tutta la loro tragicità.

Iniziamo col dire che i primi tre brani della tracklist di “Swan Songs II” sono stati tutti estratti dai LORD OF THE LOST come singoli e rappresentano senza dubbio alcuni dei punti più alti dell’album. “Waiting For You To Die“, per esempio, si presta bene per diventare una hit, vuoi per il tema trattato (il livore nei confronti di un’ex), vuoi per il litanico ritornello che si fissa nelle orecchie. Non è un caso che nei commenti su YouTube si trovino molte persone intente a dedicare questa canzone a chi le ha fatte soffrire, ed è inutile negare quanto il testo aggressivo in combo con la sezione strumentale si presti bene allo scopo. La successiva “Lighthouse” è invece un inno di incoraggiamento, un invito a risollevarsi accettando l’oscurità, forse non molto originale nei concetti ma piacevolmente espresso dai versi

Wake up, wake up
Light a candle in the dark
Wake up, wake up
Light a fire in your heart
We are your rock against the flood
So don’t let go
We are your lighthouse in the dark

Macabro intro da fine del mondo invece per “The Broken Ones“, dove la sezione di archi si associa a timidi passaggi di un clavicembalo che regala quel tocco neoclassico in più che fa sempre piacere ascoltare. Come il titolo lascia facilmente intendere, si parla ancora di gente ferita che questa volta vuole resistere alle parole maligne dei suoi aguzzini e prendere controllo del proprio destino. Molto evocativo a livello testuale poi “My Better Me“, la quale si carica di uno straziante dualismo interiore fatto di maschere e aspettative tradite. Gli ultimi versi, in particolare, sapranno fare breccia nell’animo di chi percepisce una mancanza di genuinità nel proprio agire:

My better me is not illogical
Emotional, from time to time, so cynical
No bullet and no cannonball
Is never the epitome
Of arrogance and bigotry
No advocate of irony
No that is me
I’m not my better me

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