EYEHATEGOD – A History of Nomadic Behavior

Gli EYEHATEGOD, che sin dal 1988 fanno da colonna sonora alle masse più travagliate, sono l’incarnazione del suono esasperato e collerico di un’America senza prospettive. È un’impellenza malsana e repressa a tessere la tela dell’ultimo lavoro – il sesto album in studio – intitolato “A History of Nomadic Behavior“, in uscita il 12 marzo 2021 via Century Media Records.

Chiunque abbia un minimo di familiarità con gli EYEHATEGOD sa che la loro è una musica di sopravvivenza, una dimensione in cui i riff filo-Sabbathiani si caricano di una rabbia caustica che va oltre persino al concetto di punk.

Rabbia. È da sempre il tratto distintivo della band, sin da quando il chitarrista Jimmy Bower, militante nei Down di Phil Anselmo, fondò la band nel 1988, alla quale poco dopo si aggregò il cantante Mike IX Williams. La loro discografia vanta di album che spaziano dallo sludge/punk, quali “In the Name of Suffering” (1990), “Take as Needed for Pain” (1993) “Dopesick” (1996), ad album con sound ancora più disturbanti, ominosi e viscerali, come “Confederacy of Ruined Lives” (2000) o il self-titled del 2014. Da un territorio fertile come la città di New Orleans – conosciuta anche con l’acronimo NOLA – gli EYEHATEGOD hanno gettato le basi per un assai controverso genere quale lo sludge senza mai rammollirsi con gli anni; anzi, direi che non si sono risparmiati neanche stavolta. Non è un ascolto facilmente digeribile: inquieta, disarma, ferisce… e forse è proprio ciò che serve per assumere la consapevolezza della miseria e del marciume che ci circonda.

L’album è stato prodotto, oltre che dalla band stessa, da Sanford Parker (Yob, Voivod) e James Whitten (Thou, High on Fire), il quale si è occupato – egregiamente – anche del mixaggio. “A History of Nomadic Behavior” è stracolmo di riff poderosi, crudi, avvolti da un’immancabile aura di feedback. Insomma, la produzione è eccezionale: il vibe autentico degli EYEHATEGOD è rimasto inalterato, a dimostrazione del fatto che sia la band che l’etichetta conoscono intimamente i gusti e le aspettative dei fan. In fin dei conti, un’abrasiva scartavetrata di timpani non guasta mai quando si mastica sludge.

Il primo singolo dell’album, “High Risk Trigger”, incapsula tutta la putrida e dannata realtà dei Nostri. La canzone inizia con un groove – con riminescenze dei Soundgarden – per poi eruttare in un doomissimo passaggio pentatonico minore che non stonerebbe affatto in un album anni ’80 dei Saint Vitus. Degna di menzione anche “Fake What’s Yours”, che inizia con un ronzio a bassa frequenza prima di incappare in un riff start-stop, semplice nella sua efficace brutalità.

Nei testi si affrontano tematiche recenti filtrate dal puro nichilismo e dalla percepibile insofferenza del cantante Mike IX Williams, i cui scream dilanianti rimangono incisi nelle nostre meningi sin dalla prima riproduzione. Questa volta, però, gli EYEHATEGOD (i quali non sono estranei a trattare di argomenti “scomodi”, come disturbi mentali, dipendenza, degrado…) vestono il loro lavoro con abiti politici. Williams ha espresso il suo pensiero a riguardo:

Non siamo una band politica, ma è stato difficile non subire l’influenza di quanto accaduto nell’ultimo anno. Nel processo di registrazione, non riuscivo a smettere di pensare a quanto l’essere umano fosse diventato stupido e al modo in cui negli Stati Uniti c’è gente che non crede alla scienza e che segue ciecamente quei mentecatti che sputano ideologie senza senso. Ciò che provavo è sfociato nelle canzoni dell’album, anche se in modo prevalentemente subliminale.”

“A History of Nomadic Behavior” segue un periodo che ha visto la band occupata per tre anni in tournée, dopo che Williams avesse sofferto di un’insufficienza epatica con conseguente trapianto di fegato: “Abbiamo girato come dei matti per tre anni (con gruppi del calibro di Corrosion of Conformity e Napalm Death, ndr) ed è in quel periodo che l’album è stato concepito. Abbiamo costantemente vissuto nei furgoni, nelle stanze di hotel e nei backstage… è così che facciamo. Amiamo fare le tournée, anche se stare per troppo tempo così vicini può farti perdere la pazienza. Il fatto è che tutti i membri della band hanno almeno un accenno di malattia mentale, il che ci fa lavorare molto bene assieme. Questa sindrome disfunzionale familiare può portare a tensioni, ma è sostanzialmente questo il nostro modus operandi.”

E riguardo il suo stato di salute, aggiunge: “La morte fa parte della vita, è come tirare un dado. Talvolta la si accetta così com’è, altre volte, invece, bisogna lottare per preservarla. Sono stato ricoverato per tre mesi mentre aspettavo un donatore. Ero da buttare, sono stato estremamente vicino alla morte, ma alla fine sono riuscito a cavarmela.”

Insomma, quest’album non solo ci offre un’esperienza in pieno stile EYEHATEGOD, ma immerge la nostra psiche nel degrado di questi tempi turbolenti, segnati da molteplici lockdown che hanno messo a dura prova coloro che già soffrivano di disturbi sociali, solitudine, ansia. Attraverso questo lavoro, i Nostri tendono una mano di conforto ai loro fan, specialmente con canzoni come “The Trial of Johnny Cancer”, “Every Thing, Every Day”, e “Three Black Eyes”.  Gli EYEHATEGOD sono sempre stati tra i fiori all’occhiello del loro genere, e A History of Nomadic Behavior ce ne dà assolutamente conferma

Tracklist

Built Beneath the Lies
The Outer Banks
Fake What’s Yours
Three Black Eyes
Current Situation
High Risk Trigger
Anemic Robotic
The Day Felt Wrong
The Trial of Johnny Cancer
Smoker’s Place
Circle of Nerves
Every Thing, Every Day

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