È venerdì 27, quinto e ultimo giorno di Metaldays. La malinconia inizia già a dipingersi sui volti dei tanti metallari presenti, un po’ provati da caldo, insolazione e alcool. Ma un’altra intera giornata ricca di concerti ci aspetta.
E poi, quale modo migliorare di terminare il festival se non con l’eclissi solare? Di certo è stato anche un po’ questo lo spettacolo protagonista della giornata…
Ma partiamo subito con una band tutta al femminile, se non fosse per il batterista. Le Sisters Of Suffocation propongono un death metal bello pesante con un growl altrettanto cattivo eseguito dalla cantante Els Prins, che si destreggia bene anche nel pulito. Di certo le ragazze di Eindhoven sanno bene come farsi notare, e non a caso hanno recentemente firmato per Napalm Records all’inizio di quest’anno.
Senza alcun dubbio si tratta di una band da tenere sotto controllo e, a proposito, pare siano già al lavoro per un nuovo album da far uscire a inizio 2019…
SISTERS OF SUFFOCATION
È poi il turno degli olandesi Death Alley, che propongono un rock ‘n’ roll con alcuni elementi metal. Si tratta di un qualcosa abbastanza interessante, nonostante la performance non sia sufficientemente intrigante da mantenere alta l’attenzione. Nonostante ciò, hanno firmato con Century Media Records e a marzo hanno pubblicato il nuovo album intitolato “Superbia“.
DEATH ALLEY
L’inconfondibile graffio che solo un HM2 sa regalare, con quella sonorità che chiama a gran voce sludge, violenza e sana cattiveria, cattura la nostra attenzione, un rapidissimo check e i Mantar sono pronti a partire. Il duo di Amburgo va dritto al sodo, senza fronzoli e filtri di sorta, regalando un’esibizione sentita, grintosa, violenta e disperata. Con gli ovvi deficit di portare in sede live soli due membri, riescono comunque a dare struttura e corpo ad un sound abbastanza poderoso e completo. Parte della scaletta tocca anche il loro nuovo lavoro “The Modern Art Of Setting Ablaze” (in uscita fra due settimane) e, nonostante qualche sbavatura e lacuna, si sono rivelati coinvolgenti e gradevoli. Band sicuramente da approfondire e seguire.
MANTAR
Hey! Cos’è questo odore di palude e zolfo che viene dal secondo palco?! Ah! I fottuti Goatwhore! Che band signori, che band! Ennesima prova che prendersi troppo sul serio non serve a nulla se non a cucirsi un enorme bersaglio sulla schiena: l’autoironia della band originaria di New Orleans traspare anche in sede live e mette la ciliegina sulla torta ad uno degli spettacoli più potenti ed ispirati dell’edizione 2018. Musica in bilico fra la cattiveria totale e l’ignoranza che ci piace, costumi di scena da veri blackster, facce truci e scherzoni, una band che pur proponendo un set pesantissimo passa il tempo anche scherzando e ridendo. Che volere di più?
GOATWHORE
Cos’altro potrà risponderti Tony Foresta se vai da lui dicendogli “Municipal Waste…”? “Is gonna fuck you up!” naturalmente. A parte questa true story divertente, è giunto il momento che, diciamocelo, un po’ tutti stavamo aspettando. I Municipal Waste salgono sul palco sloveno con una carica impressionante che non lascia spazio a nessuno, dando le spalle all’enorme telo scenografico con raffigurato il presidente americano Donald Trump che si spara alla tempia. Numerosissime sono le t-shirt indossate dal pubblico con questo motivo stampato e, sulla schiena, la scritta “The only walls we build are walls of death“.
“Breathe Grease” dell’ultimo “Slime And Punishment” (2017) è l’opening della serata, ma non possono mancare perle quali “Sadistic Magician“, “Headbanger Face Rip” e, a concludere, l’immancabile “Born To Party“, che rimbomba lungo tutta la valle di Tolmin.
MUNICIPAL WASTE
Dall’alto del palchetto area vip, si può notare un’alta e robusta figura che punta dritto ad un secchio pieno d’acqua, infilandoci testa e capelli, per poi dirigersi sul palco: è George Fisher dei Cannibal Corpse, naturalmente.
La band death metal statunitense, famosa per i propri testi abbastanza macabri e diretti, senza censure e alquanto truculenti, nonostante gli anni passati e l’età che avanza, continua a restare sul pezzo spaccando tutto. Si inizia con “Code Of The Slashers” tratto dall’ultimo LP “Red Before Black” (2017), per proseguire con classici come “Scourge Of Iron” e “Evisceration Plague“. Prima di far partire “I Cum Blood“, Fisher sfida il pubblico nell’eseguire un headbanging più veloce di lui, avvisandoli della missione impossibile. Difatti, nessuno è stato capace di fare di meglio!
Inoltre, sul finire, il cantante scherza chiedendo se quella che stavano per eseguire doveva essere l’ultima canzone. Al “Noooo” triste e collettivo del pubblico, Fisher risponde con un bel “Non importa, decido io e questa è l’ultima!“.
Ma nonostante questo scambio di battute, dopo “Stripped, Raped And Strangled“, gli statunitensi non vogliono di certo lasciare diecimila persone a bocca asciutta! E infatti eccola, “Hammer Smashed Face“, a concludere una performance oscillante tra il macabro e il divertente.
CANNIBAL CORPSE
Un po’ dissonante con il precedente, ora si eleva alto lo stendardo olografico degli Epica. La band è ancora in tour per promuovere l’ultimo album “The Holographic Principle” (2016) nonostante, nel frattempo, abbia pubblicato i due EP “The Solace System” (2017) e “Epica vs. Attack on Titan” (2018).
Gli olandesi, purtroppo, hanno a disposizione soltanto un’ora, e per questa ragione la scaletta risulta abbastanza banale e senza alcuna chicca da regalare ai fan più sfegatati.
Si inizia con l’intro “Eidola” per proseguire con “Edge Of The Blade“, passando a “The Essence Of Silence” e “Storm The Sorrow“. La Simons non può che dedicare la prossima canzone alla ‘black moon’, che si riesce a scorgere in mezzo alla valle: è la classicissima e immancabile “Cry For The Moon“.
Con “Sancta Terra” il chitarrista solista Isaac Delahaye e il tastierista Coen Janssen scendono dal palco ad interagire con le prime file, tanto che il secondo inizia a fare crowdsurfing trattenuto per un piede dal manager.
Il gruppo si muove esperto sul palco, nonostante proponga sempre le solite scenette per coloro che li hanno visti numerose volte (tipo me).
È ora la volta della – quasi troppo – allegra “Beyond The Matrix” che preannuncia il gran finale con “Consign To Oblivion” e il classico wall of death.
EPICA
Siamo tutti pronti per il gran finale degli headliner della serata: i Children of Bodom. E quale miglior modo di cominciare se non con “Are You Dead Yet?” I finlandesi partono senza incertezze, con la voce graffiante di Alexi Laiho alternata a parte più melodiche e a rapidi riff di chitarra, il tutto incorniciato dall’immancabile tastiera di Janne Wirman.
Nonostante il pubblico impazzito, noto qualche problema di audio. Difatti, poco dopo il cantante è costretto a lasciare il palco e prendere una pausa per far sistemare la chitarra.
La band riprende senza esitazione e lo spettacolo fila liscio con “Needled 24/7“, “Downfall” ed “Everytime I Die“. Un rapido saluto ci preannuncia l’encore con “Bodom Of Midnight” e l’immancabile “Towards Dead End“.
Concerto strepitoso per il gruppo originario di Espoo, nonostante li saluti con un certo dispiacere per non aver eseguito la famosissima cover di Britney Spears “Oops!…I Did It Again“. Ma non si poteva chiedere meglio di una conclusione del genere.
Sotto la luce della luna ormai piena, salutiamo a malincuore questo Metaldays 2018, ringraziando di cuore l’intera organizzazione e aspettando con ansia l’edizione 2019!
CHILDREN OF BODOM