Seconda discesa in Italia per i Vuur: dopo essere stati di supporto agli Epica lo scorso 2 dicembre, la band olandese capitanata da Anneke Van Giersbergen ritorna nel Belpaese per una data da headliner ai Magazzini Generali di Milano, insieme ai polacchi Votum.
È una serata all’insegna del progressive quella che mi aspetta ai Magazzini Generali: la rossocrinita Anneke e la sua truppa mi hanno talmente impressionato con l’ultimo album “In This Moment We Are Free – Cities” che l’attesa di rivederli è decisamente elevata, anche dopo l’ottima prestazione fornita di supporto agli Epica nell’ultimo tour. Ad accompagnarli ci sono i polacchi Votum, che non conoscevo ma che mi hanno stupito veramente in positivo, come avrete modo di leggere tra poche righe.
La temperatura a Milano alle 17:30, ora in cui ci presentiamo davanti ai Magazzini Generali io e la mia compagna di viaggio, è stranamente sopra la media: sul posto sono già presenti una quindicina di fan e ci accodiamo in fila, ansiosi di entrare. Ma non dobbiamo aspettare chissà quanto tempo, perché alle 18:30 i cancelli del locale si aprono e facciamo il nostro ingresso, 30 minuti in anticipo rispetto alla tabella di marcia prevista. Dopo aver posato zaino e cappotto, corriamo sotto il palco per conquistare la prima fila posizionandoci alla sinistra del palco, impresa non così ardua considerando il numero ancora ridotto di fan all’interno del locale. Per questo ci stupiamo un po’ tutti quando i minuti di anticipo da 30 diventano 60 e alle 19:00 i Votum sono pronti a calcare il palco.
VOTUM
Si capisce subito come i Votum non siano una band come tutte le altre: autori di un Progressive Metal molto particolare, che rifiuta barocchismi e arzigogoli vari in favore di atmosfere oscure e quasi “sognanti”, la band non sfigura assolutamente. Anzi: recuperando l’ultimo album della band, posso affermare come le canzoni dal vivo siano ancora più evocative e riescano a ricreare l’atmosfera dalle tinte dark dell’ultimo album “:Ktonik:”. La band non si lascia scoraggiare dall’esiguo gruppo di spettatori presenti all’inizio del loro show (saremo stati una cinquantina) e regala un’esibizione a 360 gradi. Ogni membro della band vive ogni singola nota di ogni canzone, il cantante Bartosz Sobieraj è completamente trasportato all’interno dei brani regalando una prestazione vocale veramente eccellente. Peccato che le prime canzoni risentano di suoni non perfettamente calibrati ed in particolare la voce e le chitarre risultino sopraffatte dalla batteria e dal basso. Fortunatamente i problemi si risolvono dopo le prime tre canzoni la scaletta della band procede senza intoppi, tra la crescente approvazione e partecipazione del pubblico (anche comprensibile, data la difficile assimilazione della proposta della band); i brani sono quasi tutti interamente tratti dall’ultimo album, pubblicato nel 2016. Menzione d’onore per “Prometheus” e la conclusiva “Spiral”, dove la band (e anche il pubblico) si lascia andare all’headbanging più sfrenato. Il pubblico saluta calorosamente i Votum, consapevole di aver assistito a una performance dall’elevato contenuto emotivo ed atmosferico.
Setlist:
Simulacra
The Void
Prometheus
Satellite
New Song
Vertical
Spiral
VUUR
Nel frattempo, sul finire dello show dei polacchi, il locale va via via riempiendosi un po’ alla volta: ora saremo in 120-150 persone. I nostri olandesi non si fanno attendere e sulle note di “Time-Rotterdam“ la band entra, tra la nostra calorosa accoglienza mista a sorpresa perché notiamo come manchi il bassista Johan Van Stratum. A fine canzone, fatti i doverosi saluti, Anneke ci spiega come Johan abbia dovuto forzatamente abbandonare il tour per assistere la madre in Olanda, ma che comunque hanno registrato le linee di basso per sopperire alla temporanea assenza. La notizia un po’ ci “rattrista”: sia per i problemi familiari di Johan e sia perché, essendo lui un animale da palco, abbiamo paura che la sua non presenza scenica possa rappresentare una mancanza non da poco. Fortunatamente, la band non ci dà tempo per fermarci a riflettere troppo poiché con “My Champion” si riprende il tiro, alzando leggermente l’asticella della velocità. Dopo le due tracce di apertura dell’album, Anneke e soci ci propongono la prima cover della serata, ovvero “On Most Surfaces – Inuit” dei The Gathering, il progetto più famoso a cui ha collaborato Anneke. La risposta del pubblico è entusiastica, come sarà per tutta la serata: la frontwoman non smette di ringraziarci e di rimanere vivamente colpita dalla nostra partecipazione. I toni rallentano leggermente con “The Martyr and The Saint – Beirut”, prima di rifare un tuffo nel passato con “The Storm”, presa in prestito dai The Gentle Storm (il progetto di Anneke e del polistrumentista Arjen Lucassen) e cantata a squarciagola dal pubblico.
Arrivati a metà concerto le luci si abbassano, chitarre elettriche e batteria lasciano momentaneamente il posto alla sublime voce di Anneke e alla chitarra acustica: la cover di “Like a Stone” degli Audioslave è di una delicatezza e di un’emotività rara, come solo la voce della cantante olandese sa trasmettere. Commuoversi ed emozionarsi non è mai stato così facile e non sono in pochi a cadere in questa trappola. Il momento acustico continua, ma l’atmosfera diventa più leggera con la cover di “Valley of Queens“ del progetto Ayreon. Qui Anneke si rende protagonista di un simpatico siparietto con il suo ukulele, colpevole di non riuscire ad accordarsi correttamente: dopo 2/3 minuti di tentativi (e un “Fuck it” di liberazione della cantante), l’ukulele è finalmente pronto ad accompagnare Anneke, ben coadiuvata da Ferry Duijsens. Dopo un mix tra passato e presente, la band torna a pestare sull’acceleratore con “Days Go By – London” (personalmente la mia preferita, e pure il buon Ferry di fronte a me pare accorgersi di ciò), con Anneke che si destreggia perfettamente nella parte centrale. Il saliscendi sonoro continua con “Freedom – Rio”, dove la voce della cantante è ancora al centro della scena, prima di amalgamarsi alla perfezione con la band nella successiva “Your Glorious Light Will Shine – Helsinki”. Con “Strange Machines” si ritorna nell’epoca The Gathering e la risposta del pubblico è più forte che mai.
La band rientra per un momento dietro le quinte, prima di ritornare per il gran finale acclamato dal pubblico: con “Fallout” si pesca dall’ennesimo progetto in cui ha preso parte Anneke, ovvero il Devin Townsend Project.
La chiusura è affidata alla ballad “Reunite – Paris”, bramata quasi spasmodicamente dal sottoscritto. Anneke regala l’ultima perla di una serata al top guidando magnificamente la canzone fino al climax finale, emotivamente esplosivo (personalmente) anche grazie al sorriso che la cantante regala a me e alla mia compagna di viaggio, quasi come a volerci ringraziare di tutto il supporto mostrato durante il concerto.
Le note negative di questa serata sono veramente poche e si possono riassumere in due/tre punti: l’acustica non proprio ottimale ad inizio serata, che è andata via via migliorando lungo il tempo e le linee di basso poco udibili durante il concerto. La cosa che più mi è dispiaciuta è stata la mancanza del merchandise delle due band, ma poco male: una piacevole sorpresa in apertura, degli headliner in formissima e trascinanti e tanta buona musica, cosa avrei potuto chiedere di meglio?
Setlist:
Time – Rotterdam
My Champion – Berlin
On Most Surfaces – Inuit (The Gathering cover)
The Martyr and The Saint – Beirut
The Storm (The Gentle Storm cover)
Like A Stone (Audioslave cover)
Valley of Queens (Ayreon cover)
Days Go By – London
Freedom – Rio
Your Glorious Light Will Shine-Helsinki
Strange Machines (The Gathering cover)
Fallout (Devin Townsend Project cover)
Reunite – Paris