Better Than Original: Top Covers Compilation – Vol. I

by Giuseppe Turchi

Di cover e tribute band, lo sappiamo, è pieno il mondo. Cruccio per gli esordienti che propongono pezzi originali, nonché sicurezza (quasi sempre) per i gestori dei locali che puntano a fare un po’ di guadagno, i gruppi che ripropongono brani altrui sono una costante nelle realtà locali e hanno anche un buon riscontro da parte del pubblico. Tuttavia, se suonare canzoni altrui rappresenta la norma nel mondo dei comuni mortali, è invece un piccolo evento ogni volta che a farlo sono band note e arcinote. In questi casi, la scintilla della curiosità incendia subito la mente dei fan e innesca grandi dibattiti, spesso a favore degli interpreti originali. Con “Better Than Original“, noi di MetalPit vogliamo andare controcorrente e creare una compilation di quelle cover che eguagliano, o persino superano, in bellezza i brani da cui prendono spunto. Non parliamo dunque di artisti che si limitano a imitare alla perfezione i nostri beniamini, ma di musicisti che re-interpretano, ri-arrangiano, insomma, arricchiscono il lavoro dei predecessori.

Per il primo volume di questa compilation le parole d’ordine saranno: melodia, energia, mood.
Non ci resta che augurarvi buon ascolto, con l’invito a suggerirci nei commenti ulteriori brani da inserire nei prossimi volumi.

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Correva l’anno 1982. Gli Iron Maiden pubblicano il leggendario “The Number of The Beast“, un album ricco di pezzi che diventeranno una costante nei live tour. “Hallowed Be Thy Name” racconta la storia di un condannato a morte che, inizialmente rassegnato, arriva ad affrontare con coraggio l’esecuzione grazie alla speranza di una vita dopo la morte. Struttura elaborata, riff e assoli indimenticabili, unitamente a un’interpretazione magistrale di Dickinson rendono “Hallowed Be Thy Name” uno dei pezzi più emozionanti della band.

Sì, lo so, potrebbe sembrare sacrilego confrontare Iron Maiden e Cradle of Filth, soprattutto alla luce del fatto che buone cover di questa canzone sono state fatte anche dagli Iced Earth e dai Machine Head. Perché dunque ho scelto la versione più estrema? Il motivo è presto detto: l’aumento dei bpm dona una rinnovata energia al pezzo, così come il suono gonfio delle chitarre e gli arrangiamenti symphonic-goth. Strano ma vero, anche l’interpretazione di Dani Filth sembra calzare a pennello col contesto che emerge dalle parole, creando un’atmosfera che vale la pena di esplorare. La cover è contenuta nella raccolta “A Tribute to The Beast“, uscita nel 2002 per Nuclear Blast.

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Altro brano, altro mostro sacro. “Whole Lotta Rosie” chiude l’album “Let There Be Rock” (1977) degli AC/DC ed esprime l’apprezzamento per gli amori oversize. I Bullet For My Valentine ne propongono una versione carburata al Live Lounge Show della BBC Radio 1 nel 2013, che poi diventerà una bonus track dell’album “Temper Temper“. Chitarre appesantite e un Matt Tuck pieno di spirito rock ci regalano, nel complesso, un godibilissimo attimo di svago.

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Il già citato “A Tribute To The Beast” contiene una seconda chicca degna di menzione, ovvero il rifacimento di “The Number of The Beast” da parte del supergruppo Sinergy. Il punto forte di questo pezzo, a mio avviso, è la voce graffiante e aggressiva di Kimberly Goss. Come si suol dire, una donna con gli attributi!

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Anno 2005: grida di dolore si spargono per tutto l’etere quando la divina Tarja viene licenziata dal mastermind Tuomas e soci. Ma il soprano non si lascia scoraggiare e, dopo il primo album solista “My Winter Storm“, nel 2010 se ne esce con una perla che porta il titolo di “What Lies Beneath“. Una Tarja inedita decide di attingere al capolavoro “Still of The Night” (1987) dei Whitesnake colorandolo di una tinta più heavy e aggiungendo con chirurgica precisione arrangiamenti sinfonici. Destinata a dividere il pubblico la scelta di inserire le chitarre distorte nello spettacolare intermezzo strumentale, la canzone mantiene comunque un forte mordente e guadagna tratti di epicità.

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Dolce fine degli anni ’70! Dolci muse della musica pop! “Summer Night City” venne rilasciata come singolo a se stante nel 1978, anche se gli stessi ABBA ebbero pareri discordanti sulla loro creatura. Definita ‘lousy’ da Björn Ulvaeus, il pezzo venne successivamente pubblicato con una nuova intro, guadagnandone non poco in fruibilità. I connazionali Therion decidono di fare una cover di “Summer Night City” nel 2001 e di inserirla nell’album “Secret Of The Runes“. Idea azzeccata e geniale, perché i metaller riescono a trasformare un pezzo disco-pop in qualcosa di signorile. Guardare il video per credere.

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Qualcuno forse ricorderà “The Heart Asks Pleasure First” come colonna del film “Lezioni di Piano”, uscito nel 1993 e diretto da Jane Campion. La mano che firma questo capolavoro strumentale è quella di Michael Nyman, famoso compositore inglese dal tocco magico. Attirato dalla melodia del piano come un’ape dal polline, Tuomas Holopainen decide di aggiungere un testo alla canzone e pubblica la cover nel 2012 assieme al singolo “The Crow, The Owl and The Dove“. Il ri-arrangiamento è semplicemente eccezionale, come da tradizione Nightwish, mentre il testo innesca una gara di emozioni con l’originale:

Cast away in beauty’s gloom
the good in me, the child within
a cruelest heart made me forget
the world as I wish it to be

home inside but lost for life
human heart longing for love
slave to the toil, this mortal coil
the strife, the suffering, the void

Insomma, un capolavoro nel capolavoro.

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Ricavare dal legno qualcosa con la timbrica simile alla voce umana merita di per sé una lode senza confini. Mirabile opera della creatività umana, il violencello viene considerato il più espressivo tra gli archi nonché la porta che conduce al sublime. Ecco perché il metal ci guadagna sempre qualcosa quando viene trasposto su corde e archetti. Diciamolo, il mood e la melodia di “Nothing Else Matters” la rendevano una candidata naturale per un nuovo arrangiamento, e subito gli Apocalyptica ne approfittano per produrre qualcosa di catartico. Il testo scompare, ma d’altronde una voce che parla c’è già, ed è quella di quattro violoncelli. La cover appare nel 1998 nell’album “Inquisition Symphony” ed è subito un successo. Difficile non conoscerla, difficile non apprezzarla.

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Nel 2003 i Within Temptation avevano ancora il vizio di fare video assai discutibili, seppur la loro musica stesse ormai ascendendo alle sale reali del symphonic metal. “Running Up That Hill” è una canzone di Kate Bush, pubblicata nel 1985 con un testo davvero interessante: l’autrice vorrebbe oltrepassare una collina per fare un patto con Dio e far sì che uomo e donna si scambiassero i ruoli. Un’inversione di esperienze per comprendersi nel profondo, per viversi dentro. La cover viene proposta come singolo nel periodo che intercorre tra “Mother Earth” e “The Silent Force“, nel 2003 appunto. Gli arrangiamenti celtici e la ritmica potenziata rendono il brano più diretto e fruibile, mentre l’interpretazione della talentuosissima Sharon den Adel surclassa persino quella dell’autrice.

And if I only could,
I’d make a deal with God,
And I’d get him to swap our places,
Be running up that road,
Be running up that hill,
Be running up that building.
If I only could, oh
You don’t want to hurt me,
But see how deep the bullet lies.
Unaware I’m tearing you asunder.
Ooh, there is thunder in our hearts.

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Il Fantasma dell’Opera è un romanzo del 1910 di Gaston Leroux, diventato musical teatrale con Andrew Lloyd Webber nel 1986 e poi, nel 2004, musical cinematografico con Joel Schumacher. Qui un Gerard Butler giovane e sbarbato offriva la voce al Fantasma, mentre Emmy Rossum intepretava l’ingenua Christine Daaé. Due anni prima, però, Mr. Holopainen aveva già messo gli occhi sul main theme dell’opera e prodotto, come al suo solito, una cover migliore dell’originale. Il carisma e la voce inconfondibile di Hietala rendono questo vichingo un Fantasma truce e perfetto, mentre il timbro pieno della Turunen scolpisce nuove profondità nella personalità di Christine. Semplicemente azzeccata, in tutto e per tutto, con una nota a prova di corde vocali sul finale.

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Ancora Nightwish. “Ma allora è un vizio”, direte voi. Eppure, di fronte alle cose ben fatte, non si può far altro che ammirare. “High Hopes” uscì nel 1994 all’interno dell’album “The Division Bell” dei Pink Floyd e aveva come tematiche centrali il nostalgico ricordo delle belle cose perdute e la fine di una generazione. I Nightwish la riprendono nel 2005 per la raccolta “Highest Hopes – The Best of Nightwish” e la suonano nel famoso live “End of An Era“. Si tratta di un altro centro perfetto. Hietala è magistrale nel cantato e i suoni utilizzati da Tuomas creano un’atmosfera incredibile. Ottima anche la performance di Emppu Vuorinen, che ci regala un assolo pulito e perfettamente in tema.

https://www.youtube.com/watch?v=Gkg88Mw5xJw

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Fantastica ballad che condensa l’anima dei primi anni ’90, “I’d Do Anything For Love (But I Won’t Do That)” apparve nel 1993 come primo singolo dell’album “Bat Out of Hell II: Back into Hell” di Meat Loaf. Struttura accattivante, interpretazione a due voci e ritornello corale la resero un successo planetario. Gli Xandria ne vengono attratti nel 2015 per il loro EP “Fire & Ashes” e fanno quello che sanno fare meglio: saturare il suono. Questa volta, però, l’effetto è magnifico. Gli accompagnamenti orchestrali rendono il bello ancora più bello e Dianne Van Giersbergen si rivela per la fenomenale cantante che è. L’emozione fa il paio con l’esplosione sonora in una combinazione a dir poco vincente. Il mio personale consiglio è di ascoltarla a tutto volume, con un buon impianto, in un soleggiato pomeriggio d’estate.

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Ricordate le parole d’ordine? Bene, la prima cover in classifica si condensa tutta in un’atmosfera da pelle d’oca. Forse qualcuno di voi l’avrà sentita all’interno del promo per il film “Logan – The Wolverine“, recentemente uscito nelle sale cinematografiche. Qualcun’altro invece la ricorderà come pezzo originario dei Nine Inch Nails, nonché singolo dell’album “The Downward Spiral” del 1994. Nata come espressione della depressione e dell’autodistruzione, diventerà inno assoluto della malinconia con la cover di Johnny Cash del 2002 dall’album “American IV: The Man Comes Around“. Il testo acquista nuovi significati, anche grazie a un video costruito per far leva sull’effetto nostalgia più viscerale, e si rende semplicemente mortale per i cuori più sensibili.
L’autore Trent Reznor commentò così la cover di Cash:

I pop the video in, and wow… Tears welling, silence, goose-bumps… Wow. [I felt like] I just lost my girlfriend, because that song isn’t mine anymore… It really made me think about how powerful music is as a medium and art form. I wrote some words and music in my bedroom as a way of staying sane, about a bleak and desperate place I was in, totally isolated and alone. [Somehow] that winds up reinterpreted by a music legend from a radically different era/genre and still retains sincerity and meaning — different, but every bit as pure.

Come dargli torto?

https://www.youtube.com/watch?v=vt1Pwfnh5pc

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