THE RUINS OF BEVERAST – Quando ascolto un brano, voglio perdere la consapevolezza del mero ascolto, e divenire abitante di un mondo dove accade una magia

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In occasione dell’uscita del sesto full-length dei The Ruins Of Beverast, “The Thule Grimoires” (qui la nostra recensione), noi di MetalPit abbiamo avuto il piacere di intervistare Alexander von Meilenwald, leader del progetto solista e artista polistrumentista, che ci ha parlato della sua carriera, del suo ultimo lavoro e del suo modo di vivere un’esperienza d’ascolto musicale.

Ciao Alexander! Faccio parte di MetalPit, una webzine italiana, e ti ringrazio da parte di tutto il team per la tua disponibilità a questa intervista. Innanzitutto, vogliamo congratularci per il tuo nuovo album, “The Thule Grimoires”, che abbiamo recensito e gradito molto. Dunque, iniziamo da quest’ultimo lavoro. Quando hai iniziato a lavorare su questo album? Avevi già del materiale pronto da cui partire, o hai scritto tutto da zero?

Questa volta penso di essere partito proprio da zero. Non riesco a pensare a idee più vecchie per “The Thule Grimoires”. Ho iniziato ad occuparmi di materiale nuovo ad inizio 2018, credo, non appena dopo aver completato i brani realizzati per lo split con Almyrkvi e Mourning Beloveth.

Quali sono le tematiche principali di “The Thule Grimoires”? Hai tratto ispirazione da qualcosa di specifico?

Il genere umano e la sua sempre crescente decadenza, ottusità e ignoranza. Ma onestamente, questa è stata la principale ispirazione per i The Ruins Of Beverast in generale, dall’inizio. Penso che la mia ispirazione per l’approccio più naturalistico che detta l’ultimo album potrebbe essere una conseguenza di diversi viaggi che ho fatto recentemente, assieme alla mia sempre presente presa di coscienza del caos ambientale verso il quale ci stiamo muovendo, e il mio infrangibile amore per la natura.

Questa situazione mondiale, la pandemia e tutte le sue conseguenze, hanno in qualche modo influito sul tuo lavoro, sia a livello tecnico che di ispirazione creativa?

Sì, mi sono solamente dedicato a comporre più musica, almeno nei weekend di riserva che avrei altrimenti speso tra prove e concerti. A parte ciò, non ho vissuto grossi vincoli o cambiamenti a causa della situazione. Per ora, non sono stato colpito dal virus, il mio lavoro è rimasto stabile, i contatti sociali nell’area in cui vivo sono sempre stati abbastanza scarsi, e io certamente non faccio parte di quelle persone che ritengono una mascherina una mutilazione dei diritti umani. La Germania, nel complesso, è decollata durante tutta la pandemia, e personalmente non vedo alcuna motivazione per cui lamentarmi di qualcosa.

“The Thule Grimoires” si inserisce perfettamente all’interno della tua produzione, caratterizzandosi per la sonorità distintiva che accomuna tutti i tuoi lavori, dal tuo primissimo album del 2009, “Unlock The Shrine”, fino al precedente del 2017, “Exuvia”. Personalmente, in “The Thule Grimoires” ho colto un tono più cupo rispetto ad “Exuvia”, e al contempo ho avvertito un’atmosfera più surreale ed evocativa, che ti trascina in una dimensione oscura e occlusiva. Vorrei chiederti, a questo proposito, di illustrare a grandi linee la tua intera produzione, rimarcando le differenze che la accompagnano e i tratti comuni che invece la caratterizzano.

Sono d’accordo nel dire che il mood di “The Thule Grimoires” si intreccia un po’ più sottilmente con i riff e le melodie di quanto non si senta in “Exuvia”, pertanto è più suggestivo. Questo sarebbe per il fatto che l’album è stato composto un po’ più nel dettaglio e in maniera un po’ più artistica. “Exuvia” è nato da una composizione e da una produzione impulsive; i brani erano stati scritti in un periodo di tempo più breve e non erano principalmente costruiti su riff e strutture musicali, bensì si basavano su emozioni e percezioni dell’animo. Invece, per “The Thule Grimoires” ho investito parecchio tempo nella scrittura delle canzoni, componendo riff e creando suspense, partendo dai riff di chitarra e dalle melodie, e costruendo la ritmica e le voci attorno ad essi. Per quanto riguarda il processo di registrazione, questa volta abbiamo usato uno studio differente e abbiamo registrato tutto in un’unica sessione, anche le voci, e il mixaggio ha richiesto più tempo. penso che sia dovuto agli esperimenti smodati che abbiamo fatto, in particolare su “Mammothpolis”, e sulle voci pulite e le chitarre soliste in generale.

Ascoltando questo album, ancor più rispetto al precedente, mi sono sentita trascinata in un immaginario inquietante e irreale e ho avuto l’impressione di sentirmi molto piccola dinanzi a qualcosa di molto grande. È forse un parere molto personale, ma mi piacerebbe parlare con te di questo aspetto. Tenendo conto del fatto che l’ascolto sia, in ogni caso, un’esperienza individuale e soggettiva, cosa vorresti trasmettere con la tua musica? Che tipo di sensazioni e immagini vorresti evocare?

Francamente, non penso troppo a ciò che la musica dei The Ruins Of Beverast possa evocare negli ascoltatori, ed è proprio per la ragione che già hai esplicato. L’esperienza musicale è qualcosa di profondamente personale e soggettivo, e non posso, né voglio, determinare cosa un ascoltatore debba sentire. L’unica cosa che posso manipolare è come io senta me stesso, che è l’ultimo “controllo di qualità” per le canzoni dei TROB. Come ho detto un paio di volte, quando ascolto la versione finale di una canzone, il mio massimo desiderio è di trascinarmi in un’esistenza parallela dove esiste unicamente l’esperienza uditiva e che risvegli visioni in me, e voglio solo perdere la consapevolezza concreta di star ascoltando un CD o un LP o, ancor peggio, uno stream. Voglio essere un abitante di un mondo dove accade una magia, e svegliarmi angosciato una volta che la musica si interrompe. Ecco, questo sarebbe il risultato finale di una canzone dei Ruins. Ciò che accade all’interno di questo mondo esterno può variare molto e dipende da ciò che la rispettiva canzone vuole dire. Solo un esempio: prova con “Ropes Into Eden” e vivila come un’esperienza, immaginandola ambientata in profondità su un fondale marino, dove visitatori inquietanti e non graditi stanno scendendo in un vortice ruggente, al suo inizio. Quando il caos si acquieta, il silenzio copre il mare profondo e, poco a poco, i suoi abitanti naturali si risvegliano, piccole luci incominciano a tremare fino a che, poco dopo, ogni cosa si è destata e l’intera profondità marina è illuminata. Gli spiriti del mare iniziano a reagire. Volevo che la canzone funzionasse esattamente così per me, perché, detta con parole spicce, è la storia che racconta. La storia racconta la natura che combatte contro l’uomo, ovviamente, ma non è neppure questo il punto essenziale. Il punto è che lo scenario del mare profondo dovrebbe apparire davanti all’occhio della mia mente. Se ciò avviene, la canzone funziona. E certamente non è influente il fatto che funzioni esattamente così anche nella mente dell’ascoltatore. Nessuno potrebbe determinarlo.

Ora ti rivolgo una domanda simile: cosa significa per te fare esperienza della musica? Da cosa ti lasci colpire quando ascolti un album o un brano, e quali sono le tue preferenze personali?

Penso di aver risposto in buona parte nella domanda precedente, ma quello era perlopiù in merito alle canzoni dei TROB. I miei gusti musicali sono estremamente vari, pertanto, così come adoro sperimentare musica come raccontavo sopra, apprezzo molto la selvaggia inesorabilità degli Archgoat e dei Proclamation, come anche la sottesa melancolia di molti lavori degli anni ’80. E quando si parla di musica come quella dei Dead Can Dance, sono quasi giunto nuovamente alla sensazione che ho menzionato riguardo le canzoni dei TROB, perché anche la loro musica tratteggia vasti paesaggi nel mio cuore. Credo che tutto ciò che scatena emozioni e mi porta via dal mero atto dell’ascoltare sia di conforto per la mia anima.

Ora vorrei spostare il discorso su un altro aspetto che trovo molto interessante all’interno del tuo lavoro. Come sappiamo, il nome del tuo progetto, The Ruins Of Beverast, trae ispirazione dalla mitologia norrena, in particolare dall’episodio del crollo del ponte Bifrost, narrato nei poemi scandinavi. Sei da sempre appassionato di mitologia norrena? Quali sono le letture che più ti suggeriscono i testi, il concept e le atmosfere dei tuoi lavori?

È vero, il mio interesse per la mitologia dei tempi antichi è sempre stato vasto, e lo è ancora, nonostante i miei studi a riguardo si siano assopiti negli ultimi anni, solo per mancanza di tempo. E sì, certo, anche il nome del progetto deriva dalla mitologia germanica. Voglio solo precisare che i testi e l’idea concettuale di The Ruins Of Beverast non sono direttamente costruiti su fondamenta mitologiche. Le visioni di un mondo spirituale, l’antico immaginario surreale delle divinità e il progresso del mondo sono, prima di tutto, ispirazione infinita per gli scenari spaziali e temporali su cui sono sempre costruiti i brani dei TROB. Poi, questi traggono potenti immagini metaforiche che funzionano ad un livello superiore dei testi. Dunque, appaiono nella concezione dei testi, chiaro, ma solo come anche elementi religiosi, storici, geografici e psicologici. Io venero il potere dei simboli, e la mitologia è uno dei tanti territori che ne contiene.

Una domanda riguardo la copertina di “The Thule Grimoires”. Da appassionata di arte, quando ascolto qualcosa di nuovo, la scelta dell’album è spesso suggerita dall’artwork, che dà sempre un valore aggiunto all’opera completa. A riguardo, ho trovato davvero molto bella e suggestiva la cover di quest’album. A cosa si ispira e cosa vuole rappresentare?

Sono d’accordo e, di conseguenza, è di estrema importanza che la musica e l’artwork vadano di pari passo e creino un senso di unità. Nel caso dei The Ruins Of Beverast, è fondamentale rappresentare estensivamente l’idea centrale, il mood, l’approccio dell’album verso l’esterno – ciò significa i motivi, i colori, l’estetica generale. Ed è ciò che avviene anche per “The Thule Grimoires”: come ho detto, l’album dipinge scenari di lande desolate, nei quali si costruiscono le storie del declino dell’uomo, detto molto brevemente. Perciò, mostra un paesaggio deserto – al quale ci si riferisce simbolicamente come “Thule” – il mondo sotterraneo sotto di esso, che è fondamentale per le trame delle canzoni, e il tempio antico con quattro pilastri che rappresenta l’antica idea dei quattro elementi. Ecco come si unisce tutto assieme al titolo e all’idea dell’album.

Parlare di progetti futuri, in un momento così incerto, è difficile e forse perfino fuori luogo. In ogni caso, in attesa e nella speranza che questa situazione migliori il prima possibile, quali sono i tuoi piani? Hai già del nuovo materiale su cui pensi di rimetterti al lavoro?

No, infatti non ho ancora iniziato a scrivere del nuovo materiale, sono ancora impegnato a preparare i brani di “The Thule Grimoires” per dei possibili tour, se la situazione lo permetterà e se potrà essere rilevante. Prima della pandemia, puntavamo a diversi release shows e ad un tour, ma ora è tutto scritto nelle stelle. Credo che proverò a dedicarmi a dei nuovi pezzi verso fine estate.

Molto bene! Dunque, la nostra intervista termina qui. Ti ringraziamo nuovamente per essere stato così gentile e disponibile a dedicarci il tuo tempo. Ti auguriamo il meglio per il futuro e speriamo davvero che questa situazione mondiale migliori, così da poter tornare a suonare su un palco e condividere la propria musica!

 

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