In occasione del tour unplugged a supporto dell’ultimo album “The Coyote Who Spoke in Tongues” (recensito qui), abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere faccia a faccia con il leggendario John Garcia, voce simbolo del desert rock e di una band storica come i Kyuss. Qui trovate il report della bellissima serata. Buona visione!
Iniziamo l’intervista con una domanda riguardo il coyote, che è già comparso sul disco degli Unida e, di nuovo, sul tuo ultimo album. C’è una connessione tra questi due album? C’è un motivo particolare dietro la scelta del coyote?
Oh, si tratta di una semplice coincidenza tra noi e gli Unida. Per quanto riguarda il titolo, è solo un titolo: c’è una connessione con il posto in cui viviamo e quanto spesso incontriamo animali selvatici in genere, il coyote forse più spesso degli altri. Quindi di nuovo, sono soltanto titoli di dischi in questo caso. È qualcosa in cui ci riconosciamo, non c’è nessun significato particolarmente profondo. “Coping with the Urban Coyote” è una frase che avevamo trovato su un libretto, credo simboleggiasse perfettamente il posto da cui veniamo. “The Coyote that Spoke in Tongues” è qualcosa che io e mio figlio abbiamo pensato. Lui ha una grande immaginazione, passiamo molto tempo insieme e abbiamo iniziato a buttar giù qualche nome, ci è venuto in mente questo e ci è sembrato un gran titolo. Sai, la gente spesso non capisce il motivo per cui faccio un progetto dopo l’altro e dopo l’altro ancora… sia che si tratti dei Kyuss, Slo Burn, Unida, Hermano o il side project di qualcuno su cui canto un pezzo. Credo che questo si riallacci un po’ al titolo perché tendo ad essere frainteso. Per esempio, io ed Ehren parlavamo di fare un disco blues… questo è un altro motivo, non ho delle regole riguardo una particolare direzione da seguire. Se esiste un libro con le regole da seguire per un cantante, ho buttato via la mia copia tempo fa. Quindi ha a che fare anche con la mia decisione.
“The Coyote Who Spoke in Tongues” ci ha sorpresi positivamente. Come vi è venuta in mente l’idea di fare un disco acustico e un tour analogo?
Fondamentalmente perché volevo farlo, anche qui la risposta è molto semplice. Ho chiamato il mio agente qualche anno fa e gli ho chiesto “sto pensando di fare un tour acustico, che ne pensi?” e lui ha risposto “penso sia una buona idea, ha senso, perché non parli con il tuo chitarrista Ehren e vedete se volete farlo?”. Quindi ho contattato Ehren, che si è dimostrato d’accordo, e abbiamo detto “ok, è una buona idea!”. Poi siamo andati in sala prove e abbiamo iniziato a suonare, ed in quel momento ci siamo resi conto che non è stata una grande idea dopotutto, perché ci siamo accorti subito che devi essere davvero, davvero bravo per esporti in quel modo… non mi sono mai esposto così tanto, completamente spoglio: una chitarra, una voce, niente batteria o basso, nessun CD in sottofondo, nessuna traccia in loop, niente di niente. Si trattava di semplificare tutti in massima misura. Pare abbia funzionato, fare un disco acustico è qualcosa che non avevo pianificato: solo dopo il primo tour ho pensato potesse essere una buona idea farlo. Suoniamo dal vivo e mettiamo poi la musica su disco.
Nell’album hai riarrangiato alcune canzoni dei Kyuss, cosa che mi ha sorpreso davvero molto. Hai seguito qualche criterio particolare per la scelta di quelle canzoni nello specifico?
Abbiamo scelto canzoni come “Gardenia” e “Green Machine”, scritte da Brant Bjork, che sono delle canzoni molto pesanti come forse sapete già… e deciso di trasportarle sul lato opposto dello spettro senza però trasformarle in ballad, poiché significherebbe non fare un buon lavoro, non mi piace il termine ballad. Però farle in maniera diversa, opposta, è stata una sfida, la parte più bella dell’esperienza in studio è stato riuscire a fare tutto ciò. La sfida è stata trasformarle in qualcos’altro, senz’altro uno dei motivi per cui ho scelto quelle due canzoni. “Rodeo” è una canzone che ho co-scritto ed è sempre stata divertente da cantare. Ci sono alcune canzoni che preferisco cantare rispetto ad altre, questa è un classico dei Kyuss e ho voluto farla perché, di nuovo, è più divertente per me. Per quanto riguarda “Space Cadet”, non mi è mai piaciuta la mia prova vocale originale e ho voluto cantarla di nuovo adesso, con maggiore controllo sulla mia voce rispetto a quand’ero ragazzino. Quindi i criteri erano vari, su come e quali canzoni fare. Volevo fare “Phototropic” ma non ci siamo riusciti. Alcune canzoni si prestano di più, altre meno, quindi era un po’ imprevedibile.
Parlando del processo creativo e di scrittura del disco, c’è stato qualche momento particolarmente cruciale, intenso o di maggiore ispirazione?
Per questo disco acustico è stato difficile, perché ho iniziato in uno studio e a causa di impegni sovrapposti non sono riuscito a finirlo senza intoppi. Ho dovuto cambiare studio durante le fasi iniziali del processo. Era l’estate 2016, a giugno o luglio, soprattutto luglio, abbiamo speso gran parte di quel mese in studio. È stato sfiancante, emotivamente e fisicamente, ma devo ringraziare sentitamente per l’aiuto gente come Steve Feldman, Robbie Waldman, Ehren Groban così come i miei altri compagni di band, Greg Saenz, Mike Pygmie ed un ospite speciale sul disco che risponde al nome di Ronnie King, che ha fatto un ottimo lavoro con le tastiere. Ho avuto quindi un grande team, abbiamo voluto partecipare tutti al progetto ed è stata una bella esperienza in generale. Ha richiesto molto, a tutti, ma essere in studio è qualcosa che mi piace ancora fare, scrivere e creare musica. È parte di ciò che sono.
Dal tuo punto di vista, come è cambiata l’industria musicale dai primi anni ’90, quando hai iniziato con i Kyuss?
Sì, è cambiato con il digitale, i CD sono diventati obsoleti e i vinili stanno ritornando. Io cerco di stare fuori dal business, ma ci sono stati grandi cambiamenti: prima i CD long box e poi i CD, l’mp3, i vinili che stanno crescendo di nuovo… se qualcuno ha la stessa passione che ho io nel rilasciare nuova musica e vuole far parte di un team, io sono pronto a collaborare con loro. Chiunque sia a farmi la prima offerta, a voler far parte di un progetto, al 99,99% sceglierò quella persona o quell’etichetta. Gente che voglia vedere qualcosa crescere, che voglia diffondere la musica di un progetto che porto avanti. Io e la Napalm abbiamo avuto un bellissimo rapporto e continuano a trattarmi bene. Molte cose sono cambiate, ma sono cose ovvie riguardanti lo stato attuale. Tutti hanno uno studio adesso: potresti portare un computer con ProTools qui, e avremmo uno studio. Ma d’altra parte, devi essere bravo e molto motivato in ciò che fai. Adesso tutti sono produttori, tutti sono cantautori e tutti possono fare ciò che vogliono, ma puoi facilmente distinguere quelli che sono davvero motivati e quelli che non lo sono. Non posso definirmi uno di quelli supermotivati: mi dedico pienamente ad una cosa soltanto, la mia famiglia, ogni altra cosa è secondaria. Sono fortunato ad essere qui, a parlare con te di qualcosa che ho creato, e lo apprezzo molto.
La tua voce è spesso considerata come l’archetipo di questo genere specifico, lo stoner rock. Non so se ti è mai stato detto, ma come ti senti ad essere considerato come il simbolo di un genere?
Non mi piace l’etichetta “stoner rock”. La gente mi vede in quel modo, lo apprezzo ma è difficile per me mandar giù e andare avanti: “sono la voce di questo e di quello”, no, quello non sono io. Sono una persona normale, con due bellissimi figli e una moglie fantastica, ho un lavoro a tempo pieno e tutto il mio tempo libero è dedicato alla musica e ad Ehren. Ci sono quattro persone che vedo nella mia vita: mia moglie, i miei due figli ed Ehren. Tutti gli altri sono a lavoro, all’ospedale veterinario di Palm Springs, quindi passo molto tempo anche con i miei colleghi. È come una famiglia, molto affiatata, mi piace ciò che faccio e non lo farei se non mi piacesse. Si dice “fai qualcosa che ami e non lavorerai un giorno nella tua vita” ed io ho lavorato nel campo della medicina veterinaria per gran parte della mia vita. È ciò che faccio.
Davvero? Io mi sono laureato in allevamento animale poco tempo fa, è davvero interessante scoprirlo.
Sì, non sono un medico, mi definiscono un infermiere, o tecnico veterinario. È un bel lavoro, mi piace farlo ed è qualcosa che faccio fin da quando avevo 18 anni. Quindi sono fortunato, il medico per cui lavoro è molto buono con i suoi dipendenti, me compreso: mi permette di essere qui a parlare con te, lo apprezzo molto, così come la clinica, ed anche loro mi mancano.
Sì, posso immaginare. C’è qualche consiglio che vorresti dare alle band emergenti? Io stesso suono in una band e stiamo cercando di fare qualcosa…
Sai, se devi farlo, fallo e basta. Dedicati a ciò che fai, non è un ambiente facile, è difficile riuscire a trovare la motivazione giusta. A volte penso che avrei dovuto prendere l’altra strada e diventare un medico veterinario e, guardandomi alle spalle adesso, forse avrei dovuto farlo. È una vita difficile, stare in un furgone per otto ore, oppure in un pullman per un mese… è difficile, ma mi piace ancora stare sul palco ed esibirmi, amo creare e scrivere musica, mi diverte ancora. Ci sono momenti nella mia vita in cui non vado in tour per anni, perché sono felice di cantare l’alfabeto ai miei figli e finché ho un’occasione per cantare sono contento. Non devo necessariamente essere di fronte ad un pubblico: però mi manca esibirmi, mi manca il palco, per cui ogni tanto ho l’occasione di andare in tour. Quest’anno sarà particolarmente impegnativo per me, sarò via da casa per circa un mese: un mese lontano da casa è tanto, almeno per me. Quindi, direi di dedicarsi pienamente e farlo se si è convinti. Sono fortunato ad avere due cose che amo fare, è una benedizione: lavorare con gli animali e dividere il palco con Ehren e la mia band. Apprezzo queste cose e, di nuovo, le vedo come una benedizione.
Ultima domanda, quest’anno hai deciso di riunire gli Slo Burn per dei festival. C’è un motivo particolare, magari ti è sembrato giusto farlo?
Quest’anno mi sono riempito di impegni, avrei dovuto frenarmi un po’. Penso di aver fatto il passo più lungo della gamba, sarò via per due settimane prima di tornare a casa il 28 di questo mese. Sarò a casa per un mese e poi sarò di nuovo via per due settimane, con la JG band con cui lavoreremo su nuovo materiale per il nuovo disco. Poi sarò di nuovo a casa per un mese e dopo gli Slo Burn saranno impegnati in una serie di quattro concerti. La band poi andrà in studio a registrare l’album elettrico, che si spera uscirà all’inizio del prossimo anno. Questi sono i piani immediati, vedremo come andranno le cose. Vivrò la vita alla giornata e starò a contatto con i miei figli e mia moglie.
È stato davvero un piacere parlare con te. Puoi salutare i nostri lettori in video e dire ciò che vuoi!
Oh beh, grazie per il supporto constante, lo apprezzo molto. Di nuovo, grazie per tutto il supporto, siete fantastici.