Avete mai sentito parlare del famoso cane a 3 teste? Un pedigree ‘on the road’ conquistato metro dopo metro per le strade di mezza Europa, tre rockers purosangue e uno spettacolo infuocato che non si ferma mai. I Dobermann sono: Paul Del Bello al basso & voce, Valerio ‘Mohicano’ Ricciardi alla chitarra e Antonio Burzotta alla batteria.
Dunque, siete pronti per il tuono?
Ciao ragazzi come state? Come affrontate questo periodo di lockdown? Come vivete questo periodo senza live? Essendo la vostra linfa vitale, immagino non vediate l’ora di tornare a suonare…
Valerio: Ciao! Stiamo bene, ma ovviamente non ci voleva una seconda chiusura di questo genere, anche perchè abbiamo già registrato il disco e sarebbe stato top portare avanti tutti gli sviluppi che conseguono un’operazione del genere, proprio in questo momento. A causa dello stop forzato ci ritroviamo nella condizione di ottimizzare alcune di quelle cose che normalmente quando si è in un momento di live non si possono fare, cerchiamo di non farci prendere dallo sconforto, ovvio che questa cosa abbia dei risvolti negativi, sulla base delle vite che conduciamo perché viviamo sui live, bisogna ricorrere a degli stratagemmi per poter vivere, cioè si spera che tutto questo sia concluso e vada per il meglio nel giro di qualche mese, anche se siamo preparati psicologicamente all’idea che non possa essere così. Ci si arrangia, si stringono i denti e si va avanti.
Antonio: Come artisti ci sentiamo bloccati e non è bello, perché per noi è tutta un’altra vita, non riusciamo ad esprimerci come vorremmo, speriamo che finisca presto, nel frattempo impariamo a cucinare e fare altre cose.
Paul: Io infatti ne sto approfittando per studiare, diciamo che personalmente vai avanti, anche se la band è ferma, ma insomma ce la faremo.
Secondo voi quando ripartirà tutto quanto? Quando si potrà di nuovo iniziare a suonare ed andare ai live?
P: Non vorrei darti una brutta notizia, ma secondo me dopo marzo/aprile… diciamo come è stato per quest’anno. Per concerti veri e propri nei locali, ai quali eravamo abituati prima (e ci lamentavamo…), ci vorrà ancora più tempo, credo sia ancora una cosa lunga.
V: Sì, anche secondo me non è una cosa che si risolve a breve, considerando il regime di 1 anno e mezzo fa… è difficile proiettarlo a 3-4 mesi di distanza. Concordo con quello che ha detto Paul, anche perché la nostra categoria, il settore artistico, penso sia quella più danneggiata, prima di poter riprendere il contatto umano nei luoghi che ospitano molte persone ci vorrà un po’, bisogna tenere duro.
Anticipazioni sul nuovo disco? Qualche curiosità…? Ospiti ce ne saranno? Il sound sarà sempre sul vostro stile o cambierà qualcosa? I testi di cosa parleranno?
P: Allora il titolo del disco sarà “Shaken To The Core”!
Sarà diverso dal precedente, come “Pure Breed” stesso era diverso dagli altri, una parte riprende dal classico rock n’ roll alla Dobermann, però abbiamo anche aggiunto degli elementi. Lo abbiamo prodotto da Del Vecchio, lavorare con lui ci ha portato su orizzonti nuovi.
V: Il disco è una bomba! è una figata! Siamo riusciti a fare un lavoro fantastico, il migliore sicuramente che siamo riusciti a fare fin’ora. So che molte band dicono così solitamente sull’alba del nuovo disco, ma è vero, siamo riusciti a mettere assieme degli elementi che non avevamo messo prima. La prima grossa novità ha a che vedere con il tessuto ritmico della band, cioè ci sarà più orientato su un power trio, quando prova a mettere su delle trame, non è la classica versione della rock band ammassata sulle medie dove non si capisce l’entità strumentale di ciascuno dei componenti. Seconda grande novità: abbiamo fatto un maggiore uso di cori e armonizzazioni che è una ricetta nuova. Ci hanno valorizzato molto quando suonavamo live, abbiamo ricevuto spesso questo feedback positivo, e a ora ne abbiamo fatto uno stemma nuovo, se ci sarà lo stesso riscontro positivo, potranno esserci altre pubblicazioni in futuro. E poi come diceva Paul è un disco basato sulla ricetta Dobermann, quindi sul suonare compatti e avere come priorità le mazzate.
A: Secondo me una cosa importante da dire è che questo disco ci definisce di più come musicisti, il processo creativo è stato molto più divertente, ci conosciamo di più e meglio, ci divertiamo di più a sperimentare e ci capiamo soprattutto di più, sappiamo subito cosa funziona e cosa no, è stato divertente anche per quello. Piccola curiosità: a grande richiesta del papà di Valerio ci sarà un piccolo assolo di batteria.
P: inoltre non ci sono né overlap, né trigger, che ormai è una cosa che fanno tutti… rispetto all’ultimo nostro lavoro e alla grande maggioranza di lavori che ci sono ora abbiamo cercato di tenere un suono più live possibile. Suonerà sicuramente diverso dalle altre produzioni che si fanno oggi.
Riguardo i testi, abbiamo cercato di esplorare qualcosa in più questa volta, rispetto al classico “sesso, droga e rock n’ roll” che diciamo era il classico, più che altro rispetto agli altri lavori diciamo che le parole sono arrivate per ultime, questa volta tante canzoni avevano un testo prima di avere la musica, questa volta il testo ha più un ruolo più importante. I testi li scrivo io, perché secondo me è giusto che sia il cantante a scrivere, io penso sia lavoro del cantante, perché lo scrive e lo canta.
Ognuno fa la sua parte.
Per chi non lo sapesse siete una rock band che fa km e km per suonare in tutta Europa, senza un agenzia o un management, tutto “Do-it-yourself”.
Com’é vivere lontano da casa, per fare ciò in cui credi, facendo tour lunghissimi senza mai fermarsi?
V: Dunque innanzitutto abbiamo una fortuna e una sfortuna al tempo stesso, riguardo al vivere. Il nostro campo base è a Torino, quindi abbiamo accesso facile a una serie di confini e paesi vicino e dunque nel circuito live risultano essere attivi e sono a qualche ora di furgone di distanza. Abbiamo una posizione strategica dunque, non viviamo necessariamente “on the road”, ma è ovvio che quando si fanno dei tour lunghi mentre li pianifichi cambi mentalmente e agisci diversamente, entri in un altro mood, ti ritrovi a pensare diversamente. I tour sono basati sul fatto di costruire una serie di date una dietro l’altra dove ti abitui ad avere più impegni nel weekend, dove tutti i live club sono più propensi ad ospitare le band che si muovono all’interno del paese e poi sempre all’interno nell’ottica del tour, per tutta una serie di motivi di sopravvivenza, a volte ti ritrovi anche a trovare dei live club che hanno anche le altre serate, tipo il giovedì o il mercoledì. Altre volte cerchi tu di trovare un posto per entrare nell’ottica del maggior rendimento possibile.
A: Poi devi essere mirato, non devi perdere energie su altre cavolate, però poi ti fa crescere. Hai anche la possibilità di conoscere altri musicisti e quello che fanno.
P: è quello in cui crediamo, è fare le cose a prescindere dall’approvazione, a prescindere dal successo, a prescindere che piaccia a tanta gente o no. L’unica opinione che ti interessa è quella voce che hai dentro, fino a quando ti dice che è tutto ok, bene.
V: Sottolineo l’ultima parte della risposta di Paul, è assolutamente così, ci saranno sempre alti e bassi in qualsiasi circostanza, ci sono situazioni che sembreranno assurde, non senti questo carico sulle spalle, perché ci credi nonostante tutto e vai avanti fino in fondo. È una malattia, è oltre la passione.
Parliamo di artwork: mi sono sempre piaciuti un sacco i vostri, ma l’ultimo mi ha colpito in particolare! Di chi è stata l’idea? Com’è nata?
P: È futuristica quella di “Pure Breed”. Il lavoro lo abbiamo assegnato ad un nostro amico che si chiama Marco, che è un grafico eccezionale, gli abbiamo consegnato questa foto e lui ha trovato questa idea che ci è piaciuta molto, come dicevo prima ognuno fa il suo lavoro. È un po’ retro wave, anni ‘80, però non rock classico anni ‘80, poi l’arancione indica il cambiamento ed è veramente centrato.
A: …e poi è stata veramente dura arrivare fin lì, per arrampicarsi e fare la foto.
Ascoltando il vostro ultimo disco “Pure Breed” ancora oggi, dopo averlo sentito (credo) 100 volte, non stanca, suona deciso, potente, pulito, anche più di certi dischi metal, quindi complimenti.
Per fare un disco come questo quanto tempo ci è voluto? Avete preso spunto da qualcosa per i testi e per le parti strumentali?
V: “Pure Breed” è stato concepito in tempi direi normali, 2 settimane di studio nel processo di registrazione, e poi 1 anno e mezzo circa per la costruzione e la jam assieme. Riguardo i riferimenti non c’è nulla di particolare, ognuno mette in campo le proprie radici, come al solito, e nell’insieme le influenze arrivano da Van Halen, Ac/Dc, Danko Jones e simili. Abbiamo lavorato sulle nostre idee e quello che funzionava è stato tenuto, siamo abbastanza coesi, sappiamo cosa si porta avanti e cosa no, e di alcune di quelle canzoni avevamo già avuto un feedback dal pubblico prima ancora che uscisse il disco, di conseguenza è stato anche più facile scegliere.
P: ci sono voluti circa 2 anni, dove siamo stati praticamente sempre in giro per strada a suonare è stato concepito “on the road”, è un disco che non è nato da un ragionamento “sediamoci a tavolino e scriviamo le canzoni in sala”. Il bello del disco è quello e si sente, a livello di testi non c’è mai un’unica ispirazione, puoi leggere o vedere qualcosa e diventa fonte d’ispirazione per il testo. Io dico sempre che è come pescare, tu ti siedi davanti al fiume e peschi, vedi cosa peschi e poi decidi se tenerlo o rigettarlo nel fiume.
A: io per esempio per le mie parti non prendo mai spunto da nessuna parte, vedo al massimo di ispirarmi, seguo il flusso delle cose e cerco di essere creativo, senza rompere le palle agli altri. Tra l’altro ho anche un set nuovo, ho cambiato un paio di posizioni di alcune cose della batteria, farò poi un video documentario.
Quali sono le 3 canzoni dei Dobermann che secondo voi restano di più nella testa del pubblico? (ognuno di voi scelga 1 canzone). Cosa si prova a vedere il pubblico che canta a memoria le vostre canzoni?
A: secondo me “Testarossa“. Mi ricordo che anni fa avevamo fatto un tour, e in una data in un punto sperduto della Spagna la gente aveva comprato il disco “Testarossa” e cantava le canzoni in italiano, pur essendo spagnoli.
V: Secondo me è “Taking In The Outtakes“, che è una canzone di cui addirittura cantano anche il riff.
P: A me piace “Pure Breed“, è una di quelle canzoni che non mi stanca mai, non mi stufo mai di suonarla. Personalmente quando sento le persone che cantano le canzoni è perché hai stabilito un legame, quando succede significa che sono andati ad approfondire l’argomento, la musica è quello che ti attira verso un’artista, e poi puoi condividere le parole. In quel momento hai fatto breccia, ti parla di qualcosa che hai vissuto, o con cui ti puoi relazionare, è una soddisfazione a livello personale, hai stabilito una connessione. Nello scorso tour abbiamo fatto scuola di italiano e fatto cantare le nostre canzoni all’estero.
Ditemi il titolo di un disco, a testa, che avete ascoltato in questi ultimi due anni, che vi è piaciuto particolarmente, che vi ha emozionato, o anche solo che avete comprato perché vi piace.
V: Allora a me ne sono venuti in mente un paio, non sono prettamente legati al rock n’ roll o ai Dobermann. Direi Billie Eilish, di cui ho visto e ascoltato parecchia roba, è tosta e singolare, ammiro le sue scelte. Poi l’ultimo disco dei Rammstein che mi è piaciuto molto.
P: Per me l’album più bello del 2020 è di Dua Lipa, “Future Nostalgia”, e poi il disco di Kylie Minogue “Disco” che è uscito da poco. Anche io sono lontano dal rock. (ride) Sai cos’è, quando fai rock tutto il giorno e ascolti rock da una vita, poi dopo un po’ vai in overdose, ma da un lato è molto meglio dato che ascolti altra musica con un orecchio diverso.
A: Io ho ascoltato più dischi live, ad esempio Salmo, che è fuori dal nostro contesto ma mi piace molto, con Jacopo Volpe alla batteria. Poi il “non stop live” di Vasco, con brani rivisitati in chiave rock.
Quindi diciamo che siete amanti del rock, come me, ma sotto sotto anche voi ascoltate altri generi.
V: Sì, e poi sono sono assolutamente d’accordo con Paul, è verissimo, arrivi ad un certo punto in cui non è che la saturazione ti impedisce di ascoltare dischi rock, ma hai quasi la necessità di andare alla ricerca di altri orizzonti, io devo ammettere che trovo molto stimolante andare alla ricerca di canzoni cantate da voci femminili, perché hanno una chiave di comunicazione assurda a livello di frequenza. Mi sono ascoltato pochi giorni fa la hit di Christina Aguilera che si chiama “Beautiful”, che è molto famosa, ha fatto molto successo, e non immaginate quale soddisfazione dia provare ad emulare il suono della sua voce con la chitarra, è una semplice e una delle migliori fonti per accrescere a livello musicale: cercare di andare a trovare linee in altri strumenti. Lo faccio anche quando vado a sentire gli strumenti a fiato come il sax, in contesti completamente diversi, ma la cosa che mi piace di più è seguire le grandi voci femminili come Aretha Franklin, sono molto stimolanti per riuscire ad accrescere quel linguaggio.
Oltre ai Dobermann avete dei progetti singolarmente?
V: Io nel weekend mi sto dedicando ad imparare a cucinare, e bere del buon vino.
P: Quelli sono i progetti seri! Non fare altri progetti, altre band! Fai qualcos’altro, costruisci una casa come diceva “Fight Club”
V: Noi come Dobermann non abbiamo altri progetti perché chiaramente questa band necessita di tutte le energie, però condividiamo una situazione di cover band, io poi ogni tanto sono su a Londra in una cover band storica, da cui sono nati super musicisti, di cui ora fanno parte in band come Judas Priest, Huriah Heep, è un bellissimo ambiente e molto stimolante.
P: Secondo me una band è come una gang. Sai, ci sono molti musicisti che hanno molte band, cioè sono frontman di una band e poi anche di un’altra e un’altra ancora… Secondo me soprattutto per un cantante è impensabile, come fai ad essere un leader per un’altra band?
V: Assolutamente d’accordo, è una questione di identità, anche per chi segue è una questione di orientamento, se segui il cantante che ti piace di una band e poi lo vedi in un’altra band è difficile da vedere e non sempre ha la stessa credibilità.
P: Lo capisci subito dalla foto di una band se è una squadra o no, lo vedi subito se è un’accozzaglia di musicisti buttata lì a caso, come seconda cosa… si vede immediatamente da come sono vestiti, da come interagiscono uno con l’altro. Secondo me la cosa bella che c’era una volta era che una band era, appunto, come una gang, prova a vedere una foto dei Thin Lizzy o dei Motorhead, quelli erano gruppi di persone determinate e che volevano conquistare il mondo e si vede.
V: Anche se il contesto era diverso, diciamo che a loro era “concesso” andare alla conquista, perché il mercato discografico era differente, è possibile che molte persone ora cerchino molte strade per fare il suonare il loro mestiere, però a livello di identità anche io la vedo così. A volte vedo una formazione pompata, che spacca e che adoro, ma poi mi disorienta, soprattutto con il cantante.
P: è la prima persona che riconosci solitamente, pensa se Bruce Dickinson cantasse sia con gli Iron Maiden che con gli Helloween… capisci? Non sarebbe la stessa cosa!
A: Noi siamo un po’ una gang, lavoriamo assieme e siamo una squadra. La consistenza della band infatti si trova dopo anni di tour e dopo anni che si suona assieme.
P: Esatto, lo vedi anche da come ci vestiamo, secondo me dopo tanti anni che stai assieme dopo un po’ prendi le cose uno dall’altro. Infatti è proprio quella una cosa bella, è l’ecosistema che si crea, più della musica. Le band suonano come suonano per via di tutti i componenti, non di come suona uno o due.
V: Gli stessi componenti aiutano anche ad avere più avventure da ricordare, non è una questione solo di suono, ma una questione che riguarda proprio le esperienze della band, alti e bassi e si mettono nel calderone di quella che è la chimica della band, le storie di vita che la band condivide che fanno il suono.
Di quale gruppo, anche poco conosciuto, vorreste metter su un tributo e con quali altri musicisti fareste questo progetto?
P: Io i Kiss, chiaramente in maschera.
A: Io farei una tribute band di Pino Daniele, oppure mi piacerebbe fare musica prog metal, so che è molto di nicchia e sarebbe difficile.
V: Io da grande fan di Ozzy se dovessi mettere energia in una tribute band farei Ozzy, e poi Aerosmith. Altrimenti direi qualcosa di più femminile: soul, blues, tipo Joe Banamassa con Beth Harts, qualcosa con strumenti a fiato, intimità, carico emozionale a manetta…f are qualcosa del genere, sarebbe un contesto che mi piacerebbe molto.
Sappiamo tutti ormai che suonate spesso all’estero, e sappiamo anche che vi trovate bene, ditemi 3 o più, differenze sostanziali tra l’Italia e l’estero. (A livello di riscontro con il pubblico, merchandise, orari, organizzazione, ecc)
P: Non si paga il pedaggio, in Spagna il vino di livello costa 1€ a bicchiere, e forse gli orari, dato che tolti certi paesi si inizia a suonare alle 17/18. Diciamo che come dico di solito puoi avere una brutta o buona situazione ovunque e non è questione di Italia o no.
V: Non ci sono molte differenze a livello di calore ed entusiasmo, quando il pubblico è caloroso con la band ci si spacca e si diverte, e sugli orari non si farebbe male a prendere spunto come esempio quello dell’Inghilterra, dove si suona in orari dove c’è molta energia e dove dopo la serata può proseguire, non come in Italia dove può capitare di salire sul palco quando è già tardi. Nei paesi più mediterranei c’è un’analogia con gli orari. Forse un’unica nota in più che può non c’entrare con i fattori logistici, ho notato che in U.K. c’è la tendenza a suonare con un volume maggiore.
P: All’estero l’acustica per qualche motivo, che non so quale sia, è sempre migliore, non hai bisogno di abbassare i volumi per sentire bene.
A: Vero. Inoltre puoi andare in un posto figo e trovarti male, o viceversa. E forse vendiamo più merchandise essendo una band estera.
P: forse per l’alta considerazione che abbiamo noi, la moda, la cucina, l’arte, la storia, per noi è normale ma per loro no.
Com’è il mangiare all’estero?
P: In U.K. il cibo è pessimo e lo sai, in Spagna non è male. A me piace molto fare due passi fra il sound check e il concerto, e la grossa differenza tra Italia ed estero è che in Italia ad ogni angolo c’è qualcosa da vedere. In Germania o Austria ci sono solo palazzoni degli anni ‘70 e basta. Noi abbiamo arte in qualsiasi posto, che sia Lu Monferrato o altro.
Valerio: Ammetto che non abbiamo sempre mangiato in posti brutti, ovviamente stendiamo una bandiera orgogliosa per l’Italia in questo momento, non c’è paragone con la cucina italiana, qui siamo e rimaniamo i numeri uno.
Il posto più lontano da Torino dove siete stati a suonare come Dobermann?
P: Penso sia Wick, in Scozia, oppure anche Malaga in Spagna.
V: Sì, sicuramente è Wick anche se appunto Malaga è comunque lontana.
P: Abbiamo preso la cartina e abbiamo detto qual è il punto più a nord? Ok andiamo! Abbiamo contattato il tizio del locale ed è uscita una data.
V: Tra l’altro là abbiamo girato anche parte del video di “You Walk it, You Talk It”, ed è stato fantastico, il paesaggio scozzese è assurdo, e tra l’altro siamo stati in giro 6 settimane e mezza in quel tour, abbiamo suonato quasi tutte le sere, con pochi day off
P: Abbiamo anche trovato un cadavere sulla spiaggia ed il giorno dopo è uscito sui giornali, era di una ragazza se non ricordo male. Siamo anche stati a visitare il castello del film “Highlander – L’ultimo immortale” di Sean Connery e Christopher Lambert, colonna sonora dei Queen.
Ho controllato, e Wick (Scozia) dista in auto 23.30 ore, un giorno di automobile praticamente, sono 2300km.
P: Ci si mette di più con il furgone, e calcola il traffico..
V: in macchina senza traffico, per come sono congestionate tutte le strade di ora ce ne vogliono circa 33, se calcoli tutto.
Raccontatemi una vicenda divertente di un vostro tour, una data particolare, o in studio…
V: allora te la racconto io! Questa potrebbe essere raccontata come una battaglia epica: c’è un alloggio per sciatori e amanti dello snowboard dove noi andiamo a suonare spesso, è in Francia, ovviamente essendoci una situazione ruspante non c’è da immaginarsi un set up con palco rialzato, buttafuori, sicurezza ecc… è successo qualche volta che mentre stavamo suonando, nonostante avessimo avvertito il pubblico (composto da sciatori che bevono tutto il giorno birre, shots dalla mattina alla sera), ce li fossimo ritrovati sul palco, trascinati dalla musica. Dei ciclopi enormi, ubriachi, che non stavano in piedi. Io e Paul ci facevamo scudo con i corpi, li minacciavamo con i pugni tesi, parole di grande stima, per cercare di mandare avanti lo show. Io penso che Antonio si sia goduto le migliori scene da dietro. La band non riusciva a suonare, e stava diventando una battaglia.
P: I furbetti qui sono rimasti chiusi dentro una volta…
A: io e Valerio siamo rimasti chiusi lì dentro perché siamo rimasti a bere. Siamo andati dietro al bancone a bere, quando hanno aperto le porte non riuscivamo neanche ad aprire… Io dovevo vomitare, ero sbronzo e il gabinetto in queste strutture è in un’altra stanza rispetto alla camera da letto, non lo trovavo… sono finito a vomitare nel lavandino e il giorno dopo sono stato due ore a pulire.
Cosa ne pensate di Spotify e delle altre piattaforme digitali per ascoltare musica? siete pro o contro? Personalmente le usate spesso o preferite i formati fisici?
P: Sono assolutamente d’accordo e favorevole a tutto, oltre al fatto che si ha accesso ad una quantità immane di musica, oltre alla grossa quantità di materiale che viene risparmiata nello stampare cd e vinili, che vengono comunque stampati perché è giusto che il fan si possa comprare le sue cose. Il digitale rende possibile a tutti di arrivare ai fan, al pubblico. Puoi non avere una struttura professionale dietro e riuscire comunque a condividere la tua musica. E pensa che in tasca tu hai tutta la musica del mondo, tutta la musica prodotta dall’alba dei tempi, la trovo una cosa straordinaria.
A: anche io sono d’accordo con quello che dice Paul, io spesso uso Spotify, anche se sono convinto che spesso le persone non percepiscono il lavoro e quanto c’è dietro un disco tipo quello che abbiamo fatto noi, quindi anni di lavoro, migliaia di euro per le registrazioni. Con il fatto che puoi fare un disco anche in casa la gente dice “perchè devo buttare migliaia di euro in registrazioni?” e poi “perchè devo spendere dei soldi per un cd? Piuttosto li spendo per venirti a vedere live, così vedo cosa sai fare”.
P: Quando tu guardi un film alla tv non percepisci il lavoro che c’è dietro perché è gratis, giusto? Ormai il mercato è quello, la musica è gratis dappertutto.
V: Io invece Spotify o qualsiasi altra piattaforma online la odio profondamente perché è fine del mercato discografico. Non si percepisce il valore delle band in questo modo, con il consumo della musica a portata di pochi euro. Sappiamo che non fa intascare i giusti proventi alle band, ci sono politiche a riguardo che ovviamente sarebbe da esplorare, cavillo per cavillo, e poi con gli investimenti si può fare la differenza, ma non mi sembra comunque un sistema sano per il mercato musicale, finiranno per fare tutti i dischi in casa, con l’aumento di software e potenziamenti vari. Non mi sembra che sia un bene, fosse per me toglierei tutto, a meno che non vengano modificati i proventi economici per le band, ad artisti come noi non so cosa dia.
P: Io spesso penso che senza Internet in questo mondo io non avrei fatto il musicista. Ovviamente non ci sarebbe stata la possibilità di fare un tour, organizzarsi ecc. Oggi come tutti secondo me i soldi li fai in altri modi, noi come altri, promozioni, tour, merchandise. Il mercato è cambiato, come era 10 anni fa o come era differente negli anni ‘50.
V: Sì ma un conto è il tour, un conto è la produzione e promozione del disco, cioè qui le persone ascolteranno il nostro disco con una piattaforma semmai anche scaricata illegalmente, quindi senza pagare. Io parlo anche di esclusività, si è persa questa cosa. Se tu puoi avere tutto con un abbonamento… cosa serve fare un’uscita per la band? A meno che tu non sia una band enorme, famosa, che vive già sul percorso passato, allora non so neanche quale sia il beneficio di Spotify. Se le band avessero solo un canale unico di vendita (esempio puoi comprare il disco degli Ac/Dc solo dal loro sito ufficiale), tutti i fan comprerebbero da lì. Probabilmente hanno delle regole obbligatorie.
P: Potrebbero farlo, forse non gli conviene, il mercato è quello, puoi provare a fare…
V: Il futuro della musica è dove alla fine si baserà tutto su un lancio di un singolo, con un video, che magari ti può far fare ascolti su queste piattaforme però è molto diverso dalla cultura con cui siamo nati noi. I sistemi di uso e costumi sono differenti, è come prendere energia da fonti non rinnovabili.
P: l’altro giorno leggevo che Spotify non può andare avanti a queste condizioni perché guadagna soltanto il 7% dagli abbonamenti a pagamento. Quindi il 93% è free, sono utenti gratuiti. E quindi questo tizio sostiene che Spotify vada verso una procedura fallimentare, non resisterà molto. Anch’io credo che la direzione sia quella, ormai lo streaming e che gli introiti dei musicisti sono altri, avvengono in altri modi.
Come succede anche con il cinema, tutto cambia, anche perchè vederli vuoti fa dispiacere, come i teatri stessi. Non è bello, è una cosa triste, il film è una cosa cinematografica, va vista al cinema non su uno smartphone, gli artisti che oggi riempiono un teatro sono pochissimi, è difficile anche trovare quelli.
P: L’arte è sempre stata così. Anche se tu ti metti a produrre scarpe da ginnastica non ti metti a fare sold out da un giorno all’altro. Adesso con queste piattaforme hai il vantaggio che anche la gente in Mongolia può ascoltare il tuo disco, una volta era impensabile. Non ricordo le cifre esatte, ma avevo letto che ogni giorno vengono caricate circa 10.000 tracce su Spotify, in un anno hai…? Milioni di tracce. Cifre che non riusciamo neanche a concepire. Una persona non riesce ad ascoltare un numero infinito di artisti.