A distanza di quattro anni dal discreto “I Worship Chaos”, i CHILDREN OF BODOM sono tornati con questo “Hexed“ che, indubbiamente, ha generato moltissima attesa tra i fan della band finlandese. Dalla pubblicazione, nel 2008, di “Blooddrunk”, una rovinosa parabola discendente aveva colpito Alexi Laiho e soci. Tale involuzione era stata confermata dal successivo “Relentless Reckless Forever”, il quale aveva suscitato ancora più perplessità tra i fan del gruppo, preoccupati di dove fosse andata a finire la band di “Something Wild” ed “Hatebreeder”. Con “Halo of Blood” e “I Worship Chaos”, i COB sembravano essere tornati, parzialmente, in carreggiata, anche se mancava sempre qualcosa. Oggi, nel 2019, “Hexed” è stato accolto tra dubbi e timori, e certamente tutti eravamo ansiosi di scoprire se i Children of Bodom si fossero ripresi definitivamente. Scopriamolo!
La traccia che apre l’album ci era già stata presentata come secondo singolo: parliamo di “This Road“, brano in tipico stile “bodomiano” che parte con un riff aggressivo accompagnato dalle consuete tastiere di Janne Wirman. La canzone, nonostante manchi di originalità, coinvolge l’ascoltatore ed in più si può notare sin da subito una cristallina pulizia del sound. Il culmine arriva con l’assolo di tastiera, seguito poco dopo dall’assolo di chitarra di Alexi Laiho. Una buona canzone per inaugurare il disco. Successivamente troviamo “Under Grass and Clover“, estratta come primo singolo. Una canzone molto catchy, che si apre con un riff incrociato di chitarra e tastiera. Successivamente spazio all’elettronica e alla voce filtrata di Laiho. La forza del brano sta nel ritornello che sicuramente farà il suo dovere in sede live. Nulla di clamoroso, però un pezzo riuscito. Con “Glass Houses” giungiamo al primo, vero inedito del disco. Questa canzone è una gran bella cavalcata, dove, nei tre minuti e mezzo di durata, tutto funziona. Bellissimo l’attacco di chitarra e tastiera, col batterista Jaska W. Raatikainen che accompagna in una poderosa e precisa doppia cassa. Nell’andamento del brano, le tastiere restano in primo piano, ma è con i due assoli di chitarra che si raggiunge l’apice. Davvero un bel pezzo, tra i migliori del disco. “Hecate’s Nightmare” è spiazzante: si tratta di un death ‘n’ roll con moltissime reminiscenze di stampo metal classico. In questa canzone, i COB cercano di sperimentare di più, basandosi su un’atmosfera vagamente orrorifica generata dalle tastiere. Però, il risultato non è quello sperato e ne esce una canzone bruttina, seppur condita da buoni riff chitarristici e un pregevole assolo del solito Laiho.
Il disco riprende subito quota con “Kick in a Spleen“, brano che si rifà alle sonorità violente di “I Worship Chaos”, seppur con maggior incremento delle tastiere. L’atmosfera è tetra, a tratti quasi apocalittica, soprattutto grazie ad un eccezionale lavoro alle chitarre di Laiho e Daniel Freyberg. Il ritornello assume toni ancora più cupi, con cori e tastiere a fare da padroni. Un bel breakdown introduce uno splendido passaggio neoclassico, che riporta ai vecchi fasti del gruppo. Si torna a sonorità più orecchiabili con “Platitudes and Barren Words“, estratta poche settimane fa come ultimo singolo: il riff introduttivo di chitarra e tastiera, seppur molto easy listening, è davvero convincente e il brano procede diretto e spedito, con le vocals di Laiho che vanno a creare ancora una volta un’atmosfera lugubre. Il ritornello è quanto di più melodico si possa ascoltare, Alexi Laiho canta, addirittura, quasi in pulito, ma tutto funziona a meraviglia. Il bell’assolo di Wirman ci porta poi ad un’interessante sezione strumentale. Curiosamente, il brano si conclude senza assoli di chitarra. Poco male. Arriva il turno della title-track, e improvvisamente ci sembra essere tornati indietro fino a “Follow the Reaper”: un duro riff apre la canzone per dare spazio poi a passaggi spiccatamente neoclassici, ed è quello che i fan volevano sentire più di ogni altra cosa. Il ritornello è dominato da tastiere sinfoniche e cori che attendono una meritata consacrazione live. Il culmine lo si ha nella sezione centrale del brano, con i fantastici duelli chitarra-tastiera tra Laiho e Wirman, duelli che negli anni hanno contribuito alla fama dei Children of Bodom. Insomma, un title-track davvero ottima.
Arrivati a questo punto, il disco cala leggermente d’intensità, ma d’altronde, dopo così tante buone canzoni, era lecito aspettarselo. “Relapse (The Nature of My Crime)“, è il più classico dei riempitivi, però è un brano che si lascia ascoltare senza problemi e presenta l’ennesimo bell’assolo di chitarra. Una canzone che non aggiunge e non toglie nulla. Si passa a “Say Never Look Back“, un pezzo dotato di qualche venatura progressive, visti i numerosi stacchi e cambi di tempo. Pregevole lavoro in questo brano del batterista Raatikainen, sempre preciso nel dettare il tempo. Canzone quindi più articolata, che gode di bei fraseggi chitarristici e di un ritornello pregno di epicità. Tuttavia, si ha l’idea che si potesse fare ancora meglio, magari inserendo qualche barocchismo tipico della band. Con “Soon Departed” ci ritroviamo di fronte ad un poderoso mid tempo, in cui le tastiere creano un tappeto sonoro interessante mentre le chitarre sfoderano riff incisivi. Il top lo abbiamo ancora una volta nel ritornello, solenne e drammatico. Ascoltando questo brano, possono tornare in mente brani simili incisi dai COB negli anni scorsi, come ad esempio “Prayer for the Afflicted“, contenuta in “I Worship Chaos”, oppure “Dead Man’s Hand on You” da “Halo of Blood”, ma ormai è risaputo che la band nei suoi lavori, incida almeno un brano lento. Il finale di questo bel disco è affidato a “Knuckleduster“, la quale era già nell’EP del 2005 “Trashed, Lost & Strungout” e di cui abbiamo una versione riarrangiata in questa sede. Brano sinfonico, non veloce ma di buon impatto. Alexi Laiho, a metà canzone, è autore di un altro grande assolo che dà corposità ad un brano altrimenti un po’ povero. Comunque una degna chiusura per questo “Hexed”.
Tirando le somme e con non poca soddisfazione, si può dire che i Children of Bodom sono definitivamente tornati. Tutta la band è in gran forma e non ha perso un minimo di carattere: la voce di Alexi Laiho, malgrado l’avanzare dell’età (quest’anno il biondo cantante compie 40 anni) si presenta sempre graffiante e anche cattiva quando serve. Buono anche il lavoro del neo acquisto Daniel Freyberg, il quale, seppur relegato al ruolo di chitarrista ritmico, fa il suo lavoro con professionalità. La sezione ritmica è una garanzia come sempre mentre Janne Wirman è semplicemente fantastico e finalmente le sue tastiere vengono messe di nuovo in risalto dalla produzione, ottima anch’essa. “Hexed” è un album compatto, diretto e suonato con classe cristallina. Non si tratta di un capolavoro, questo è certo, ma siamo di fronte ad un full-length di tutto rispetto che merita di essere ascoltato.
Bentornati COB!